La storia di Chiara Bosna

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Ho 21 anni e sono malata da 20.

Sono affetta da un’anemia rara (DBA) che mi è stata diagnosticata all’età di 8 mesi. Il 6 maggio 1996 ero molto pallida e inerme. Da due settimane per il pallore, mi davano gocce di ferro. Alle 21,30 i miei genitori mi hanno portato al pronto soccorso dell’Ospedale Buzzi. Al primo prelievo avevo il sangue rosa e l’emoglobina a 2. Ore di tortura prima di riuscire a trovare la vena giusta per «attaccare» la mia prima trasfusione di sangue. Quando naturalmente ci riescono… mi stacco tutto. Conclusione: mi legano al letto. La dottoressa alla domanda «Ce la farà?», risponde che non lo sapeva, perché non aveva mai visto tanta forza in una bambina così piccola con l’emoglobina così bassa. Il 7 maggio al mattino presto, lo sbalzo dell’emoglobina (così dicono…), mi provoca le convulsioni, così mi sedano e mandano mia mamma a telefonare a mio padre che nella notte era tornato a casa. Quando lei torna in camera non mi trova. Spavento, angoscia, paura, disperazione: senza informarla prima, mi hanno trasportato in ambulanza al Policlinico per effettuare una TAC al cervello. Quando naturalmente i miei genitori arrivano nel secondo ospedale, i medici li subissano di domande per capire se l’anomalia riscontrata fosse dovuta alle convulsioni o se avevo già avuto problemi neurologici prima. Durante «l’interrogatorio», a loro insaputa, mi portano via un’altra volta in ambulanza. Per raggiungermi mamma e papà si recano all’ospedale Buzzi, ma io non ci sono (altra disperazione). Il primario dice che mi ha fatto portare al San Gerardo di Monza, centro ematologico pediatrico all’avanguardia, perché pur non sapendo di che malattia si trattasse, sicuramente pensava che fosse qualcosa di grave. Arrivati al San Gerardo all’11° piano in pediatria, non mi trovano, ancora angoscia e disperazione, non sapevano che ci fosse anche un reparto specifico di ematologia pediatrica: nessuno li aveva informati. Rimango con mia mamma, mi risveglio verso sera. Il giorno dopo mi fanno un elettroencefalogramma (in seguito mi faranno un’altra TAC). Così si arriva alla conclusione che l’anomalia era dovuta alle convulsioni e che per fortuna non ci sono danni celebrali. Con il prelievo del midollo, arriva la diagnosi: Anemia di Blackfan Diamond. In breve non produco globuli rossi e di conseguenza devo fare trasfusioni di globuli rossi filtrati e lavati, ogni tre settimane circa. A un paio di mesi dalla diagnosi si è cominciato a provare con il cortisone per stimolare il midollo a una reazione, perché si sbloccasse. All’inizio sembrava funzionare (10 mesi senza trasfusioni), ma allo scalo del farmaco, l’emoglobina ha ricominciato a scendere: sconforto e delusione dei miei genitori. E si entra così in regime trasfusionale. Con le trasfusioni assimilo anche il ferro che, aggiunto a quello che produco normalmente, ne provoca un accumulo che va tolto per non danneggiare gli organi. Ho iniziato a togliere il ferro in eccesso a 2 anni e mezzo. Questo si chiama chelazione e avviene iniettando un farmaco sotto cute a infusione lenta per un minimo di 8 ore a notte. Sono arrivata a fare 6 notti su 7. Ho provato una chelazione con pastiglie, ma non ha funzionato. Trasfusioni e chelante ovviamente portano problemi, per questo nell’arco dell’anno devo fare, oltre a prelievi del sangue specifici, visite mediche specialistiche ed esami strumentali (ECO, ECG, MOC, risonanza ecc). Tutto per controllare l’accumulo di ferro intorno agli organi e la prevenzione di eventuali problemi come quelli già riscontrati che vengono monitorati affinché non ci siano peggioramenti. All’età di 6 anni i miei tramite un’amica, hanno avuto il privilegio di conoscere il Professor Ugo Ramenghi, ricercatore della DBA, che lavorava all’ospedale Sant’Anna di Torino. Ci consigliò di riprovare con la terapia cortisonica. Dopo varie insistenze, al San Gerardo si fa il tentativo che purtroppo ha avuto subito un esito negativo. Non avendo malformazioni congenite dovute alla mia malattia (nel 40% dei casi si riscontrano anomalie congenite come malformazioni cranio-facciali o degli arti superiori, difetti cardiaci, ecc), ho sempre condotto una vita normale frequentando dal nido alle superiori, compresi centri estivi vari. Per quanto riguarda lo sport, niente a livello agonistico, ma ne ho fatti diversi: nuoto, danza classica e moderna, atletica e kung fu. Qust’ultimo l’ho praticato un po’ di più, solo perché mio padre è istruttore e di conseguenza mi faceva allenare senza troppi sforzi fisici e facendomi fare solo gli esami per i cambi di cintura, senza gare. Forse è stato a causa di questo che quando ho compiuto 18 anni, dovendo rifare la domanda d’invalidità, abbiamo avuto dei problemi con la commissione medica. La mia patologia non può essere valutata con una percentuale inferiore all’85%, ma per quella commissione la mia prima era al 46% e poi al 50%. Non hanno mai letto la documentazione medica. Una disabilità invisibile agli occhi viene valutata per l’aspetto fisico di chi la porta, non per la patologia. Non ricordandomi niente prima della malattia, per me è stato sempre abbastanza normale andare in ospedale, adesso che quasi mi cerco la vena da sola, e mi faccio io il chelante, mi fa ridere quando mia madre mi racconta che da piccola mi dovevano tenere in quattro, e per il chelante mi rincorrevano per tutta la casa. Fino a 20 anni sono stata in cura nel day hospital di ematologia pediatrica, dove ho avuto l’opportunità di conoscere la Magica Cleme, fondazione creata da Bill Niada ed Emilia Sada in ricordo della loro bambina Clementina. La Magica Cleme, fa sì che i bambini malati e le loro famiglie si divertano nei weekend e non solo, organizzando meravigliose gite. Oltre alla Magica Cleme ho avuto l’opportunità di conoscere un’altra realtà fantastica: allora in DH lavorava l’infermiera Marisa che sotto «minaccia» mi fece iscrivere alla gita al Dynamo Camp (fondato dall’attore Paul Newman), situato sulle colline pistoiesi. Una vacanza di 7 giorni meravigliosa, un luogo dove la cura è ridere. Un campo realizzato per far divertire solo bambini e ragazzi con varie patologie croniche e le loro famiglie. Alla ne ci sono andata ben cinque volte, tre in estate e due in inverno. Ora sono in cura nell’ambulatorio di Talassemia adulti, ed è fantastico. Si ha un rapporto amichevole con infermiere e medici, mi trovo benissimo anche con gli altri pazienti Blackfan e Talassemici, malattia differente, ma protocollo simile. Circa un anno e mezzo fa ho ricevuto un sms dalla Magica Cleme: mi invitavano a partecipare a una gita al Corriere della sera e dietro insistenza di mia madre, ci andai. È stato lì che ho conosciuto B.LIVE, un progetto della Fondazione Near (il cui presidente è Bill Niada) che coinvolge adolescenti e ragazzi affetti da patologie croniche, in attività e percorsi creativi e professionalizzanti un po’ speciali, sviluppati insieme a professionisti, aziende, artisti, università e scuole. Iniziò così la mia avventura editoriale: con i giornalisti del Corriere nell’arco di un mese è stato creato un giornale mensile, che all’inizio si chiamava «Il Bullone della Sera». Io mi sono diplomata in grafica pubblicitaria due anni fa, per cui quando mi hanno chiesto se mi sarebbe piaciuto occuparmi della parte grafica, ho pensato che fosse un segno del destino. Sono stata aiutata da alcuni giornalisti del Corriere perché non sapevo proprio come si impaginasse un giornale. Abbiamo fatto un paio di numeri, ma solo uno è stato stampato. Poi il giornale ha cambiato nome, ora si chiama Il Bullone. I B.Livers e i volontari scrivono gli articoli e io ne sono ufficialmente l’art director!

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