Lettera a Papa Francesco

Autori:

Di Alessandra Parrino

Caro Papa Francesco, 

in questo mondo sempre più caotico noi giovani vorremmo trovare un momento per riflettere, un silenzio troppo spesso evitato perché costringe ad entrare in contatto con la parte più profonda di sé. Oggi mi viene data questa opportunità, quella di potermi sedere in silenzio e scrivere, di poter essere anima prima che corpo. 

Durante l’anno che volge ormai al termine, si è parlato tanto del Sinodo, della necessità di stabilire un rapporto autentico tra i giovani e la Chiesa, di rinforzare un legame esistente e di riuscire a trasmettere la bellezza della fede a chi la sente lontana. Non pretendiamo che le regole della Chiesa vengano tolte o che ci venga fatto lo sconto, abbiamo però  bisogno di qualcuno che ci aiuti a vederne la bellezza più autentica. Perché troppo spesso nella nostra società i nostri errori vengono messi in secondo o terzo piano. Ci rispondono che capita e non fa niente. Noi abbiamo bisogno di sbagliare e di qualcuno che ci aiuti a ripartire proprio dal nostro errore, che ci faccia tornare in mente che abbiamo sbagliato perché abbiamo avuto il coraggio di fare. 

Un coraggio che tu per primo ci chiedi di avere, ci trasmetti con le tue parole: «Il tempo che oggi stiamo vivendo non ha bisogno di giovani-divano, ma di giovani con le scarpe, meglio ancora, con gli scarponcini calzati. Questo tempo accetta solo giocatori titolari in campo, non c’è posto per riserve. Il mondo di oggi vi chiede di essere protagonisti della storia perché la vita è bella, sempre che vogliamo viverla, sempre che vogliamo lasciare un’impronta», (Veglia di preghiera con i giovani – Campus Misericordiae, Cracovia, Sabato, 30 luglio 2016).

Queste frasi sono parte di un discorso che ha fatto riflettere molti giovani, presenti alla GMG (Giornata Mondiale della Gioventù) e anche quelli che non hanno potuto esserci. Parole che si riferiscono a noi, alla nostra costante ricerca di ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Perché a un appello del genere noi vorremmo rispondere in coro che ci siamo, che vogliamo essere speranza per il mondo, che vogliamo lottare per amore, ma non con le armi, bensì con infinita cura per i nostri fratelli. Vorremo imparare quell’amore che salva dalla morte, che sconfigge ogni barriera. Un amore che ci permetta di portare la nostra croce con gioia e che ci ricordi che in ogni istante, dall’altro lato della croce, c’è Dio e che quindi non dobbiamo avere paura. 

Inoltre in una società dove c’è una continua ricerca di supremazia, noi sentiamo la necessità di vivere come fratelli, senza distinzioni di razza, religione o sesso. «Il contrario dell’io non è tu, ma noi», (da «Perché l’unico futuro degno di noi dovrà includere tutti» – TED Talk). Queste sono parole che tu ci hai spiegato con semplicità,  insegnamento che troviamo nella nostra fede, azioni che noi vorremmo imparare a mettere in pratica: l’essere fratelli, figli diversi e perfetti così; consapevoli che se ci dimentichiamo di Dio nelle nostre relazioni, dando spazio all’io, rischiamo di perderci. 

Se è vero che per imparare c’è bisogno di esempi che ci indichino la strada giusta, siamo sicuri che questi possano essere tutti coloro che hanno fatto qualcosa di grande, partendo dal loro essere piccoli e dalla loro fede salda. Abbiamo bisogno di esempi come Maria, che ha trovato il coraggio di fidarsi e affidarsi; come Pietro, che nonostante i suoi sbagli e la sua testardaggine è diventato padre fondatore della Chiesa; o come Elia, perché è forte in noi la necessità di metterci in cammino. 

Questo rispecchia, almeno in parte, quel bisogno forte che noi giovani sentiamo, di essere ascoltati e di essere aiutati a scoprire la parte più profonda della nostra anima. Per questo motivo speriamo che la Chiesa possa essere faro anche nei periodi più bui del nostro tempo. 

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