Di Oriana Gullone
Care foreste, cari boschi, cari alberi,
sarebbe molto facile, molto di più, oggi sentirsi in colpa o trovare un colpevole contro il quale scatenare tutta la rabbia e l’incredulità che ho, che abbiamo addosso, dalla notte del 29 ottobre. L’ultima volta che si ricorda una cosa del genere sull’altopiano di Asiago, dicono, è dopo i bombardamenti della Prima Guerra Mondiale. A qualcun altro è tornato negli occhi il disastro del Vajont di 50 anni fa. Ma un precedente reale a quelle raffiche di vento dagli 80 ai 200 chilometri all’ora, o al quasi milione di metri cubi di alberi abbattuti tra Trentino, Veneto e Friuli, non c’è. Guardandovi dall’alto sembrate «pettinati», in ordine. Assurdo, no? Eravate così invincibili, così imponenti.
Trovare colpevoli non serve, adesso. Serve informarsi, serve tirarvi su, prima che arrivi la prima neve e funghi e muffa rischino di intaccare tutti, anche chi è rimasto in piedi. Serve incoraggiare a non fare rifornimento di legname da fuori, ma recuperare tutto quello che è possibile, recuperarlo dal disastro. Senza di voi, manca il lavoro, senza lavoro la vostra gente si sposta, se ne va, vi abbandona. Definitivamente. È già successo, quando il legname «ripieno» di schegge di proiettili e granate non veniva più acquistato da nessuno perché spaccava le motoseghe, rimanendo completamente inutilizzabile.
Non è il momento di dare colpe, ma di raccontare a chi non vive o non conosce le zone del Cadore, la Val di Fiemme, l’altopiano di Asiago, perché siete così importanti, e da quanto tempo. La Serenissima Repubblica di Venezia da voi si è sempre fornita di abeti per i pennoni delle sue navi mercantili e militari. I maestosi faggi della Foresta di Cansiglio diventano remi da barca dal XV secolo. In Val di Fiemme, la Foresta di Panaveggio è anche conosciuta come Foresta dei Violini: i maestri liutai di Cremona, Stradivari per primo, si riforniscono qui di pregiato legno di abete rosso per la costruzione di strumenti dalla sonorità straordinaria.
Se poi, dal tavolo dal quale sto scrivendo, mi guardo intorno, mi rendo conto che senza di voi questa stanza sarebbe completamente vuota, senza pavimento, senza porte, senza finestre.
Invece che pensare ai colpevoli, puntare il dito contro qualcuno, canalizzare tutta l’energia in un negativo di rabbia e vendetta, forse è il momento di ringraziarvi. Renderci conto di quanto fate per noi, da millenni. Imparare dalla gente di Veneto, Trentino e Friuli a tirarsi su le maniche per dedicare attenzione a una risorsa immensa e imprescindibile che, fino alla spaventosa notte di fine ottobre, davamo per scontata, non vedevamo più.
Adesso leggo diversamente anche Madre Natura. Non è vendetta la sua, ma richiesta di attenzione e cura, da parte di tutti, non solo da chi è «direttamente coinvolto» perché sulle Dolomiti ci vive o ci lavora. Come il mare nella mia Liguria, non può e non deve essere cura solo di chi ci vive o ha seconda casa in Riviera. Madre Natura si fa sentire quando ha bisogno di aiuto da parte di tutti i suoi figli. Quando mamma sta male, è più nervosa, urla di più, ma non smette di accudirti ed essere mamma.
Cari alberi, cari boschi, care foreste, caro mare, cara Terra,
io vi ringrazio per tutto ciò che fate per me. Per la scrivania dove scrivo, le finestre e le porte che mi riparano, per i ciocchi che metto nella stufa a legna per cucinare e scaldarmi. Per il suono dei violini, per le nottate cantando con la chitarra sotto braccio. Per le meraviglie che sott’acqua ho sbirciato tutta l’estate, per il pesce grigliato al tramonto. Per essere Casa totalmente e senza sosta.
Io vi ringrazio e prometto di prendermi cura di voi, ora e per sempre, con ogni mezzo a mia disposizione. Primo tra tutti, la conoscenza. Imparare a conoscere il mio territorio e quelli che attraverso, è il primo impegno, il primo passo, la prima promessa.
Grazie.
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