Di Eleonora Prinelli
Cari studenti delle Grandes Ecoles,
Grazie, siete dei grandi.
Non lo dico tanto per dire o per elogiarvi. Lo dico perché vi ammiro e vi stimo per la vostra consapevolezza e presa di coscienza. Provenienti dalle università più importanti della Francia, vi siete riuniti, avete fatto passaparola, avete dibattuto, avete sperato e infine avete deciso. Voi, oltre 18mila studenti delle Grandes Ecoles, dal Politecnico alla Scuola Normale Superiore di Parigi, passando per l’HEC (Hautes études commerciales), avete firmato un manifesto dove vi rifiutate di lavorare per aziende inquinanti.
Attraverso una semplice firma state chiedendo a gran voce alla società e al mondo, un risveglio ecologico che non può più farsi attendere. Mettete in discussione la vostra comfort zone di studenti privilegiati, al fine di far emergere una riflessione e un cambiamento profondo. Non si tratta quindi di boicottare le aziende «cattive», ma semplicemente di riflettere sul fatto che non c’è altra scelta. Che non si può muoversi in biciletta per la città e poi lavorare per dei colossi industriali che scaricano rifiuti inquinanti nei mari ed emettono tonnellate di CO2 nell’atmosfera ogni giorno. Non si può mangiare vegano e poi indossare una maglietta fabbricata da un bambino in Bangladesh. No, non ha alcun senso. Si deve fare qualcosa perché, nel nostro pianeta, vi sia una svolta in senso etico e morale. Riunirsi per firmare un manifesto non sarà la soluzione, ma è già qualcosa. Vuol dire prendersi un impegno a cambiare.
Il manifesto non è l’unica iniziativa ecologista che voi giovani francesi avete attuato quest’anno. I colleghi della prestigiosa facoltà Science Po di Parigi, lo scorso aprile hanno richiesto al proprio ateneo di porre fine al partenariato con il colosso petrolifero Total, perché in chiara contrapposizione con la missione della scuola.
Credo che la nostra generazione sia sempre più chiamata (e costretta) a scegliere dei datori di lavoro in linea con la propria rivendicazione ecologica. Altrimenti quale futuro daremo ai nostri figli e nipoti? Quale pianeta consegneremo nelle loro mani? Le generazioni precedenti alla nostra non ci hanno pensato… Ora tocca a noi, perché non c’è più tempo. E siamo già estremamente in ritardo.
Già, perché l’ultimo rapporto dell’IPCC, ossia il Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamentoclimatico, mostra uno scenario drammatico e lancia un grido d’allarme. Nel 2030 la temperatura media globale potrebbe aumentare di 1,5 gradi centigradi rispetto ai livelli dell’era pre-industriale.
Non solo. Come scrive David Wallace-Wells sul New York Magazine: «Non ci siamo ancora resi conto della minaccia che incombe sull’umanità. Se non fermeremo il cambiamento climatico, in meno di cent’anni la Terra potrebbe diventare quasi inabitabile». Le parole di Wallace-Wells vengono riportate sapientemente dall’Internazionale del mese scorso nell’articolo «La fine del mondo», che vi consiglio vivamente di leggere.
Le inondazioni e l’innalzamento dei mari infatti non sembrano essere il maggiore problema legato al cambiamento climatico, tutt’altro. Se non arrestiamo drasticamente il rialzo delle temperature dovremo affrontare siccità, carestie, guerre ed epidemie climatiche date dalla riattivazione di virus e batteri rimasti intrappolati per milioni di anni nei ghiacci, oggi in scioglimento. Dobbiamo iniziare a pensare che tutto è collegato. Non si tratta di visioni apocalittiche, ma di un sistema dominato dalla logica di causa-effetto.
Cari studenti delle Grand Ecoles, quando qualcuno vi guarda con supponenza pensando che il cambiamento climatico non sia neanche un problema di cui ci dobbiamo preoccupare oggi giorno, raccontategli che il permafrost dell’Artico si sta sciogliendo. Proprio quel permafrost che, come dice il nome, dovrebbe restare perennemente ghiacciato. Motivo per cui, neanche dieci anni fa, vi era stato costruito lo Svalbard global seed vault, un deposito di sementi progettato per proteggere la nostra agricoltura da qualsiasi catastrofe, e che oggi risulta in pericolo. Raccontategli che all’interno del permafrost risiedono congelati 1.800 miliardi di tonnellate di carbonio, più del doppio di ciò che oggi troviamo nell’atmosfera terrestre. Questo significa che, come scrive Wallace Wells: «quando il ghiaccio si scioglierà, quel carbonio potrebbe evaporare sotto forma di metano che, in un arco di tempo di un secolo, è un gas serra 34 volte più potente dell’anidride carbonica ai fini del riscaldamento globale».Raccontategli quindi che è ora di cambiare il nostro modo di lavorare, di produrre e di vivere.
Cari studenti delle Grandes Ecoles, grazie per aver ascoltato il grido d’allarme dell’IPCC e di aver deciso di far sentire la vostra voce. Nel 2018 gesti come il vostro sono ancora troppo rari, motivo per cui fanno scalpore e vengono pubblicati sui giornali. La mia speranza personale è che un giorno non ci sia più bisogno di parlarne, perché questi comportamenti saranno diventati la normalità.
Spero che la consapevolezza sui temi ambientali ed etici aumenti a tal punto da pensarla tutti allo stesso modo e da agire coerentemente al proprio pensiero. Pensare che l’inquinamento e lo sfruttamento siano sbagliati è un conto, iniziare ad agire perché questo cambi, è un altro.
Già, perché decidere di non lavorare per aziende inquinanti e firmare un manifesto vuol dire AGIRE. Non solo parlare o pensare, ma FARE qualcosa. Significa iniziare a impegnarsi verso il cambiamento, l’unico possibile, quello verso l’ecosostenibilità.
Immagine in evidenza: Una manifestazione di studenti universitari di fronte alla Sorbonne di Parigi © Bruno Vincent/Getty Image