Di Alberto Scanni
C’è differenza tra un paziente del Sud che vuole essere curato a Milano e un ricco signore, o politico, o artista, o giornalista che vogliono essere curati e assistiti all’estero? Poca! Ricordo un influente uomo politico che voleva essere assistito in Svezia, così come un ex ministro della Sanità che si è fatto operare a Londra e molti malati provenienti dal Sud che ho rinviati alle strutture di casa loro, assolutamente competenti e fornite di seri professionisti. Ferma restando la libertà di ciascuno di scegliere dove farsi curare (e qui, chi è ricco è favorito), è indubbio che questa opzione deve confrontarsi con le potenzialità assistenziali del luogo di partenza e con i costi per lo Stato. Soltanto l’assenza di tecniche particolari negli ospedali di casa propria, l’impossibilità a usufruirne per carenze organizzative, giustificano, a mio parere, la scelta di percorsi alternativi. Va comunque tenuto presente che l’atavica, spesso ingiustificata, sfiducia verso le proprie strutture, la mancata informazione delle loro potenzialità, e la considerazione che il meglio sempre e comunque si trovi altrove sono le molle che fanno scattare, in maniera acritica, le scelte. Molte sono le responsabilità di alcuni medici che non informano, non dialogano con i loro pazienti, non approfondiscono collegialmente il caso, e consigliano con leggerezza viaggi della speranza, adducendo, a torto, l’incapacità delle strutture locali e la presenza di problemi organizzativi.
Mentre in alcune sedi la determinazione e il sacrificio degli operatori,suppliscono alle manchevolezze dovute a questi ultimi, in altre, l’accidia inveterata di alcuni mantiene l’immobilismo. Esempio tipico sono le cure oncologiche, in un disciplina in cui protocolli e tecniche chirurgiche sono standardizzati e ubiquitari e le strutture oncologiche dialogano praticamente in rete. Non c’è ragione, di fare una chemioterapia al Nord o una radioterapia per un linfoma in Svizzera, quando possono essere fatte vicino a casa propria, garantite dal sistema sanitario nazionale. Un ottimo sistema di cui abbiamo recentemente festeggiato i 40 anni, frutto di una riforma lungamente attesa che consegnò a tutti gli italiani il diritto fondamentale alla salute e alla cura. Un sistema che tutti ci invidiano la cui bontà è stata confermata di recente dal rapporto Bloomberg sull’efficienza della spesa sanitaria e dallo studio dell’Imperial College londinese e dell’OMS sulla mortalità per malattie non trasmissibili. Un sistema universalistico che garantisce le cure, anche di alto livello, indipendentemente dal censo, dalla razza e dalle convinzioni politiche. Quindi ricchi e poveri, bianchi e neri, di religione e culture diverse hanno identiche prestazioni, anche se costose, su tutto il territorio nazionale. Per questo motivo pensare che a Milano o a Stoccolma si possano avere trattamenti migliori di quelli della sede di provenienza è spesso ingiustificato. Pensare che il Sud sia scalcinato e privo di strutture specialistiche e di professionisti di livello, non corrisponde al vero. Dire che la attrezzature migliori non ci sono e indirizzare altrove i malati è spesso un alibi per demandare ad altri ciò che potrebbe essere fatto in casa propria.