Di Giada De Marchi
Borderline: un vocabolo spesso usato per definire una situazione che può cambiare da un momento all’altro, ma cosa succede se questa parola fa parte di una diagnosi?
Succede che la tua vita sia appesa a un filo che decide lui quando spezzarsi, che il tuo cervello ha già programmato ogni singolo momento della giornata a tua insaputa, creando un grandissimo scompiglio.
Disturbo borderline di Personalità, così si chiama la mia malattia.
Ho vaghi frammenti di ricordi di quegli incontri, ma mi ricordo perfettamente il motivo per cui i miei genitori mi ci portarono: «nostra figlia non si comporta come gli altri bambini».
La mia battaglia contro di lei è iniziata ancor prima che sapessi anche solo pronunciarla, quando avevo circa 8 anni, quando per la prima volta andai da una psicologa.
È sempre stato così, io ero diversa, ma ai tempi non si capiva che cosa avessi. Se mi avessero dato un euro per ogni diagnosi fatta, a quest’ora starei scrivendo questo articolo in un attico super chic.
Ho avuto tanti punti di rottura nella mia vita, tante sfide infinitamente più grandi di me che nel tempo mi hanno resa quella che sono, e nonostante tutto sono sempre andata avanti.
Ma nella mia vita c’era qualcosa che comunque non andava.
Se vi dicessi autolesionismo, a cosa pensereste?
È questa una parola molto pesante che difficilmente esce dalla bocca delle persone.
Voglio espormi in modo tale da poter essere utile a chi ancora adesso, come me, ne sta provando le conseguenze sulla propria pelle.
A voi sembrerà tutto così senza senso, ma perché una persona dovrebbe farsi del male da sola quando già sta soffrendo tanto? E io vi rispondo dicendo che per molti di noi è una valvola di sfogo, l’unico modo per uscire dal dolore che la vita ci sta dando, una scorciatoia, ma allo stesso tempo è la cosa più sbagliata da fare, una cosa che porta solo ad avere cicatrici e tanti brutti pensieri, per cui, ragazzi, mettiamo giù le lamette, chiediamo aiuto e cerchiamo di aggrapparci a quella piccola luce che sembra essere quasi sparita.
A marzo dell’anno scorso ho subìto una grande perdita che ancora mi fa soffrire ogni giorno. È da lì che comincia il mio percorso in psichiatria.
Giugno 2018, tento il suicidio.
Il problema è che io non ricordo nulla di come sia accaduto, ma ricordo perfettamente la corsa verso l’ospedale, il sondino naso-gastrico che entrava dentro di me, la notte passata in rianimazione dove riecheggiavano soltanto lamenti e pianti.
Mi dimettono quattro giorni dopo, e la settimana successiva vengo ricoverata in psichiatria.
Un mese e mezzo di ricovero, durante il quale ho conosciuto persone, sentito storie, ma soprattutto visto con i miei occhi che non ero sola.
Con me c’era tantissima altra gente con il mio stesso trascorso.
Agosto 2018, mi dimettono dalla psichiatria, insieme alla mia diagnosi.
Inizio un percorso di gruppo per ragazzi borderline come me, che sta andando avanti ancora adesso. Sono passata anche alla fase successiva, ho avuto dei gran scivoloni, mi sono sentita persa nel buio per molto tempo prima di sentire un lieve benessere, e tuttora mi trovo nel mio nero tunnel , ma perlomeno ora ho una grande torcia a farmi compagnia.
Ecco dove è finita Giada durante il 2018, un turbine di dolore, emozioni, nuove esperienze e una piccola rivalsa.
Per fortuna al mio fianco ho avuto persone come la mia famiglia, la mia migliore amica, B.LIVE e tutti i medici che mi hanno assistita nel mio sentirmi sola e mi hanno sempre fatto compagnia.
Vi ringrazio tutti dal profondo del mio cuore, vi faccio la promessa di rialzarmi e di ritornare più nuova che mai.
Immagine in evidenza: disegno realizzato da Giada, autrice dell’articolo