Di Giulia Menini
Tutto è cominciato con la solita storia: «Dai, perdo due chili per l’estate e supero la prova costume!», come se quella fosse la priorità nella primavera del mio ultimo anno di liceo artistico. Purtroppo la situazione mi è sfuggita di mano e da perdere un paio di chili, sono passata a scendere di circa 6 chili in un mese. A questo ha contribuito sicuramente l’eccessivo esercizio fisico e la fissazione della palestra. Passavo i miei pomeriggi costringendomi a non toccare cibo; piuttosto mi scolavo litri di tè, ma mettere in bocca qualcosa di solido, che non fosse verdura, era proibito e così mi sono ritrovata a passare la vacanza di maturità con i miei compagni che mi facevano da balia per vedere che mangiassi almeno un piatto ad ogni pasto. Siamo arrivati così alla scelta della facoltà universitaria: opto per Scienze Motorie, la scelta sbagliata, dato che questo mi metteva ancor più a contatto con la mia ossessione per l’esercizio fisico e la fatica. Il cambio drastico poi, da un’ambiente come può essere la classe unita del liceo, a una situazione più individualista come l’ambito universitario, mi ha sconvolto facendomi stare sempre peggio sia a livello fisico che emotivo.
Non provavo più niente dentro di me, se non il buio dell’anoressia.
Questa parola mette in agitazione, fa subito pensare a una bambina capricciosa che si rifiuta di mangiare per ricercare attenzioni, ma le cose non sono sempre così semplici come appaiono. Il vortice nero che ti senti dentro lo stomaco si era trasformato in una sorta di depressione che si manifestava attraverso un cambiamento del carattere: da ragazza sorridente e amichevole, ero finita per non avere più veri amici e diventavo facilmente scontrosa e irritabile con tutti, anche con i miei familiari. Ovviamente tutto era basato sul cibo, tant’è che una volta mio padre per farmi una sorpresa, mi fece la pasta alla carbonara, il mio piatto preferito e io mi misi a piangere dopo averlo preso e buttato nella spazzatura.
Dopo varie visite dal dietista personale, la situazione si era fatta drastica: ero arrivata a pesare 49 chili, che per una persona alta 180 cm, equivale a essere solo pelle e ossa. So solo che dopo quest’ultima visita, il mio rifiuto di fronte al cibo era giunto al culmine: non toccavo più nessun tipo di alimento, anche solo una fetta di bresaola era diventata troppo per me, come del resto anche una tazza di tè o un cucchiaio di riso. Non ci stava più niente nel mio stomaco, si era fatto talmente piccolo che anche il mio cuore aveva iniziato a indebolirsi arrivando a 35 battiti al minuto. Mi sono ritrovata così ad essere ricoverata, per mia scelta, all’ospedale Niguarda, dove, per fortuna, dopo una settimana in alta intensità medica, potevo dire di essere ancora viva. Rischiavo di non esserci più, invece mi hanno aiutato e tuttora sto seguendo un percorso dei disturbi alimentari per guarire e, nonostante gli alti e bassi che in ogni storia ci sono, posso dire di avere riacquisito il mio peso forma, cioè 63 chili e di essere veramente felice perché ho capito che ho guadagnato un sacco di opportunità di cui prima mi privavo, come ritornare sui pattini a rotelle, la mia vera passione, che poco prima di ammalarmi era diventata un incubo, ma che ora è ciò che mi spinge a guarire più di ogni altra cosa.
Le sere passate a dormire su un letto in un garage senza riscaldamento e muffa sulle pareti, con Dante Alighieri in mano da studiare per il giorno dopo e tu, che leggi dell’Inferno senza renderti conto che ci stavi dentro. La causa di tutto fu la separazione dei miei genitori, avvenuta quando avevo soli 14 anni: è stata particolarmente difficile, però non sono voluta scappare, l’ho affrontata intromettendomi nella relazione tra loro due e ciò mi ha fatto più male che bene. Ricordo le serate passate a piangere a letto per tutta la notte, con in testa la scena di loro che litigano animatamente e io in mezzo, come se tutte quelle parole cattive fossero rivolte direttamente a me. Due anni dopo mio papà si è presentato a casa con la sua nuova compagna e io non sono mai riuscita a comprendere questa scelta; come si fa a stare con una persona se contemporaneamente ne ami un’altra?
Da quel momento il rapporto con mio papà è andato a fondo, arrivando a non avere più una comunicazione. Io facevo la parte della figlia perfetta e a lui andava bene così. Era un dialogo malato quello che avevamo, non riuscivamo a comprenderci a vicenda, eravamo come due treni su binari diversi, con destinazione opposta. Grazie al ricovero sono riuscita a dirgli tutte queste cose che mi tenevo dentro, lui allora è cambiato, è diventato più comprensivo e amorevole, ha cominciato a trattarmi come la sua bambina e di quello ne avevo bisogno. Ci siamo abbracciati dopo così tanto tempo, e adesso, quando passeggio con lui, non mi vergogno di tenergli la mano. Ho ripreso ad avere un rapporto sano con mio padre, tanto che mi porta fuori nei weekend, quando non li passo con le mie amiche che si sono rivelate una vera sorpresa. Mi hanno aiutato a vedere la vita con quella leggerezza che ormai era sparita dentro di me. Ora mi sono risollevata e sono più forte di prima.
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