Intervista al dottor Giuseppe Petralia, responsabile R.M dello IEO

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La Scatola Magica che con una visita anticipa il tumore

Link all’immagine in evidenza: http://asc-italia.it/che-cosa-facciamo/

Di Stefania Spadoni

Negli ospedali il reparto di radiodiagnostica è quasi sempre rilegato al piano meno 1, come a volerlo nascondere, isolare, delimitare, come un luogo pericoloso dove sarebbe meglio non passare. 

Incontrando il dottor Giuseppe Petralia, responsabile della Risonanza Magnetica dell’Istituto Europeo di Oncologia di Milano, faccio chiarezza su alcune dinamiche relative agli esami diagnostici in cui sono previste radiazioni a carico del paziente e scopro che un’alternativa valida c’è. Si chiama Diffusion Whole Body o come amava definirla Umberto VeronesiLa Scatola Magica”. E` un termine bello per definire un macchinario in un ospedale oncologico, ma rischioso. Non nego al dottore che il termine magico mi inquieta associato al mondo scientifico e in particolar modo a quello dell’oncologia, dove fin troppe volte ho sentito ciarlatani proporre cure magiche che semplicemente si rivelano disastrose, ma sul piatto della bilancia dei miei dubbi vengono messi in campo due elementi ai quali non posso ribattere: da una parte la visione illuminata di un uomo e un medico come Veronesi che sapeva veder oltre e poteva permettersi di usare la parola magia per indicare una reale possibilità di prevenzione che aiutasse la scienza in quella che per tutta la sua vita è stata la sua crociata, la sconfitta del cancro e dall’altra una spiegazione così tecnica e scientifica su quello che accade in un corpo quando il cancro appare e di come la macchina e il team che ci lavora può leggere questa anomalia che non posso che accettare qualsiasi nome, basta che funzioni. Chiamiamola quindi Scatola Magica e facciamola questa magia, nulla da obiettare.

Dottor Petralia ci spiega che cos’è e come funziona la risonanza Diffusion Whole Body?

«È un esame che permette di studiare l’intero copro senza radiazioni e senza mezzo di contrasto. Con questo esame abbiamo immagini morfologiche, che caratterizzano l’anatomia, insieme a delle immagini funzionali, che ti fanno vedere in modo brillante le aree ad elevata densità di cellule (ipercellulari), come ad esempio i tumori. Noi uniamo questi due tipi di immagini, le propaghiamo su tutto il corpo, le ricostruiamo anche in 3D, in modo da avere l’intera figura con caratterizzazione atomica e funzionale utilizzando la tecnica della diffusione».

Come funziona la diffusione?

«La diffusione è una proprietà fisica scoperta nel 1827 da un botanico di nome Brown. Successivamente Einstein comprese tutte le leggi che regolano i movimenti casuali delle molecole d’acqua. Ti faccio un esempio pratico: in questo bicchiere d’acqua le molecole sono libere e si stanno muovendo con dei moti casuali e a una determinata velocità. Come poter usare questa proprietà in campo clinico? Se ci pensi il nostro corpo è composto al 70% di acqua e con la risonanza magnetica si possono eccitare selettivamente le molecole d’acqua del nostro corpo, così da capire quali molecole hanno una diffusione libera, come nel bicchiere, e quali hanno una diffusione impedita e limitata dall’elevata densità cellulare del tumore». 

Quando avete iniziato a usare questa tecnica diagnostica?

«Le prime immagini diagnostiche sono state ottenute nel 1985 da un radiologo francese, Denis Le Bihan, e piano piano sono state applicate in vari distretti corporei, a partire dall’encefalo, e, intorno agli anni 2000, per lo studio dei tumori. Nel 2005 un radiologo giapponese, Taro Takahara, ebbe l’idea di applicare la tecnica di diffusione all’intero corpo nei pazienti con il tumore. È stata una svolta esaltante per il nostro lavoro. Il mio impegno specifico nello studio della diffusione è iniziato nel 2008 e ricordo come se fosse oggi il mio primo paziente reale un anno dopo, nel febbraio del 2009, proprio qui allo IEO». 

Funziona con tutti i tipi di tumore?

«Funziona con tutti i tumori che causano masse (anche di pochi millimetri), quindi la maggioranza. Non funziona, invece, per le leucemie perché non c’è una massa da indagare. Ad oggi la Diffusion Whole Body è raccomandata dalle linee guida internazionali per il mieloma multiplo, il tumore prostatico metastatico, i melanomi di stadio avanzato, ed è molto utilizzata per i tumori mammari metastatici e i linfomi. Inoltre, la Diffusion Whole Body è raccomandata dalle linee guida internazionali per la diagnosi precoce dei tumori nei soggetti con elevato rischio genetico, ad esempio nei soggetti con la sindrome di Li Fraumeni».

Quest’esame potrebbe essere utile ai giovani che si ammalano di tumore?

«Certo che sì, perché è un esame privo di radiazioni e di mezzo di contrasto, quindi con costo biologico pari a zero. Lo facciamo spessissimo nei giovani che si ammalano di linfoma e c’è un’ampia evidenza scientifica sul fatto che la Diffusion Whole Body offra performance diagnostiche paragonabili a quelle della PET, che è considerato l’esame migliore per quasi tutti i tipi di linfoma».

Foto del dottor Giovanni Petralia

Ci sono persone sane che decidono di sottoporsi a quest’esame?

«Quest’esame funziona bene anche nei soggetti asintomatici per la diagnosi precoce dei tumori. Ovviamente, ad integrazione, e mai in sostituzione, degli screening standard. La sanità pubblica offre degli screening che sono ottimi: il sangue occulto nelle feci, la mammografia, il Pap-test, il PSA. Sono esami fantastici per la diagnosi precoce dei tumori, seppur limitati agli organi che indagano. La Diffusion Whole Body è un esame messo a punto in maniera tale che vada a completare la diagnosi precoce, là dove non arrivano gli screening standard».

Che cosa si può fare per far sì che quest’esame entri a far parte degli screening standard? Può esistere il mecenatismo anche nel mondo della ricerca scientifica?

«Ti racconto una storia. Dopo un’intervista su un giornale alcuni industriali bergamaschi si sono interessati alla Diffusion Whole Body e hanno deciso di sponsorizzare delle borse di studio, grazie alle quali sono riuscito a creare un team di persone (medici, fisici, bio-ingegneri) che lavora con me allo sviluppo continuo della Diffusion Whole Body. Un paio di anni fa gli stessi industriali hanno deciso di creare un centro dedicato solo alla Diffusion Whole Body per la diagnosi precoce dei tumori. Si chiama Advanced Screening Center (ASC) e si trova tra Bergamo e Brescia. E` un centro senza scopo di lucro, perché si auto mantiene e reinveste tutti gli utili per potere, nell’economia di scala, abbassare i prezzi dell’esame stesso e renderlo disponibile a una fascia di popolazione sempre maggiore». 

A quante persone avete trovato un tumore da quando il centro ASC è stato aperto?

«Dai dati preliminari che ho sui primi 1195 soggetti asintomatici che sono stati sottoposti alla Diffusion Whole Body presso l’ASC, abbiamo diagnosticato 23 tumori maligni, circa il 2%. Considera che questi tumori maligni, diagnosticati così precocemente in fase asintomatica, erano molto piccoli e proprio per questo hanno potuto beneficiare di cure poco invasive e risolutive. Da un punto di vista scientifico questo è un grande risultato, perché iniziamo a comprendere quale sia la prevalenza reale dei tumori nei soggetti asintomatici. Ma da un punto di vista umano lo è ancora di più, e ne sono orgoglioso: con il nostro impegno abbiamo cambiato la vita a 23 famiglie».

La sanità pubblica fa quel che può e mi sento di affermare che fa già tanto nel nostro paese, ma posso azzardare l’ipotesi che inserendo quest’esame nello screening gratuito si potrebbe evitare successivamente il costoso percorso di cura e follow-up di un paziente oncologico?

«Certamente, se guardassimo le cose con una prospettiva ampia. Non c’è dubbio che il costo iniziale sarebbe molto elevato, ma tra 10 o 20 anni il ritorno economico potrebbe essere enorme. Se metti a confronto un tumore diagnosticato precocemente e asportato in maniera poco invasiva con solo un giorno di ricovero, rispetto al disagio di sviluppare un tumore, dover affrontare una chemioterapia, una radioterapia, interventi chirurgici invasivi, lunghe degenze, giorni di lavoro persi, senza parlare dei disagi anche economici che deve affrontare tutto il nucleo familiare… Beh, sarebbe una vera rivoluzione. Ma non credo che esistano le rivoluzioni, esistono dei processi che si sviluppano passo dopo passo, stando coi piedi per terra. Il primo scoglio da superare è quello culturale, uno scoglio grandissimo, ancora più importante di quello economico. In Italia moltissime persone ancora non comprendono la cultura della diagnosi precoce, o ne hanno paura. Basta guardare il tasso di adesione agli screening offerti dalla sanità pubblica, purtroppo molto variabile. La vera rivoluzione culturale dovrebbe partire da una maggiore conoscenza e consapevolezza degli strumenti già disponibili per la diagnosi precoce dei tumori. Molte persone non sfruttano nemmeno quello che già gli spetterebbe e che è messo a loro disposizione gratuitamente dalla sanità pubblica. Detto questo, ci sono invece persone molto attente, che decidono di non avere l’ultimo modello di iPhone per quell’anno, ma di pagare un esame che potrebbe salvar loro la vita. Ognuno è libero di indirizzare le proprie scelte e risorse dove più ritiene opportuno»

Le è mai successo di sbagliare?

«Certo che sì! Non esiste un test perfetto al 100% in medicina. Tutti gli esami diagnostici hanno falsi negativi e falsi positivi. Con la Diffusion Whole Body abbiamo una sensibilità per la diagnosi dei tumori maligni molto buona, intorno al 90%. È come se io avessi 100 tumori su questo tavolo, e con quest’esame potessi catturarne 90. Il tasso di falsi positivi invece si aggira intorno al 5%, simile a quello della PET, ad esempio». 

Dottor Petralia, quando ha deciso di diventare medico e cosa l’ha spinta a fare questa ricerca?

«Io ho sempre saputo che avrei fatto il medico, da quando ho ricordi. Le mie scelte sono state fin da giovane molto chiare, poi durante l’università mi sono appassionato moltissimo alla diagnostica, perché è un po’ come fare il lavoro dell’investigatore. E oggi mi rendo conto che la cura dei tumori passa attraverso la diagnosi precoce, c’è poco da fare!». 

Quand’è che una persona va dal medico? Quando sta male. A volte esiste una finestra che può durare anni in cui il tumore è presente nel corpo umano, ma non si manifesta con sintomi ed è proprio lì che il dott. Petralia e tutto il suo staff vogliono intervenire, per colpire il tumore quando è piccolo e ancora non ha fatto danni al corpo nel quale è ospite. 

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