di Edoardo Grandi
Enzo Tiezzi (Siena, 4 febbraio 1938 – Siena, 25 giugno 2010) è stato uno scienziato e attivista per l’ambiente di fama internazionale, uno dei padri fondatori dell’ecologismo in Italia. Ha scritto più di 500 pubblicazioni scientifiche specializzate e molti libri di divulgazione, tra cui il più noto e di maggior successo è Tempi storici, tempi biologici,pubblicato per la prima volta nel 1984 da Garzanti, aggiornato e riproposto in numerose edizioni successive da Donzelli.
La perfetta campagna del Chianti dei colli senesi si tinge dei verdi tenui della primavera. In fondo a una strada sterrata ombreggiata da cipressi, mi appare la casa-fattoria di Pacina, circondata dalle vigne. Sulla porta di casa mi accoglie un signore sobriamente elegante: Enzo Tiezzi, che proprio qui (dove ha dato il via a tante sue battaglie ambientaliste) ha voluto incontrarmi.
Ti sei occupato di ambiente nel senso più vasto e complesso del termine, ma dal punto di vista accademico «nasci» come professore universitario di chimica fisica. Come sei approdato all’ecologia?
«Ah, vedo che ci risiamo con la separazione dei saperi! Per comprendere la natura e il nostro difficile rapporto con essa bisogna superare la suddivisione in compartimenti stagni delle varie discipline, è necessario un approccio più globale, che non significa però superficiale. Questo è un argomento che ho sempre sostenuto con forza. Certo, è vero che i miei inizi come chimico sono stati più specialistici e settoriali, ma ben presto lo spettro dei miei interessi si è ampliato».
C’è stato un periodo per te significativo in questo senso?
«Dopo la laurea a Firenze e dopo aver insegnato per quattro anni all’Università di Cagliari, nel 1966 sono riuscito ad ottenere una borsa di studio Fulbright per gli Stati Uniti. Lì ho lavorato prima al Dipartimento di Fisica con Samuel Weissman, poi a quello di Biologia con Barry Commoner, che stava allora gettando le basi per quella che definiva una “scienza totale dell’ambiente”. Entrambi gli incontri, durante il mio biennio americano, hanno segnato un punto di svolta fondamentale nella mia vita, aprendo letteralmente orizzonti vastissimi. Tornato in Italia, naturalmente non ho gettato alle ortiche la mia carriera accademica, ma l’ho proseguita con un approccio nuovo. Quando sono diventato direttore del Dipartimento di Chimica all’Università di Siena, da me facevano il dottorato in chimica laureati provenienti da altri settori, come ingegneri, economisti, architetti, biologi, matematici o filosofi. La scienza dell’ambiente deve essere una scienza a tutto tondo».
Oggi si può dire che una certa cultura ambientale si è ormai diffusa e affermata, ma di sicuro deve essere stato un processo difficile.
«Verissimo. Pensa che agli inizi degli anni 80 si stava mettendo a punto per la prima volta un concetto ormai dato per scontato, anche se, ahimè, non ancora applicato: quello di sviluppo sostenibile. Ci lavorarono 25 scienziati provenienti da tutto il mondo, nel corso di diversi convegni. Ero uno di loro e, senza falsa modestia, posso dire che ero l’unico italiano».
La tua attività non si è limitata alla ricerca, ma si è estesa all’impegno sociale e politico.
«Naturalmente: la scienza, come io la concepisco, non deve restare rinchiusa in una torre d’avorio. Nel 1984, in Tempi storici, tempi biologici,scrivevo della formazione di “una cultura ecologista che analizza il rapporto uomo-ambiente (risorse) individuando in questo i limiti entro cui l’economia e la politica si devono muovere. Una cultura ecologista, quindi, non marginale o subalterna, ma che svolge un ruolo centrale per stabilire quei principi su cui fondare una nuova economia e una nuova politica”. Non ne ho solo parlato, ma ho cercato di tradurre tutto questo in impegno concreto. È qui a Pacina, in queste stanze, che sono nati i primi incontri che hanno portato alla fondazione di quella che era la Lega per l’Ambiente dell’ARCI (oggi Legambiente). C’erano discussioni a volte accese, ma sempre proficue, cui partecipavano personaggi come la biologa Laura Conti, il giovane studente Ermete Realacci o il fisico Gianni Mattioli. Mi sono anche dedicato all’attività politica in senso stretto, venendo eletto parlamentare per la Sinistra Indipendente, durante la decima legislatura. Come “compagno di banco” avevo il grande giornalista Antonio Cederna, altro precursore dell’ambientalismo italiano».
Ti conosco anche come grande «affabulatore», nel senso migliore del termine. Questo ti ha aiutato in campo divulgativo?
«Spero proprio di sì. Ho sempre cercato di esprimermi in modo semplice e accessibile, schietto, diretto, volendo essere comprensibile per tutti. Bisogna saper raccontare, e vanno divulgati anche i propri ideali e il modo di porsi nei confronti della scienza. Riportare il solo crudo dato scientifico non contribuisce a un’efficace divulgazione. I dati vanno metabolizzati, rielaborati, e raccontati in un contesto più ampio. Ne approfitto per ringraziare mia moglie, la biologa Lucia Carli, che mi ha aiutato nella stesura di alcuni miei libri».
A proposito di libri: le tue letture spaziano in modo considerevole.
«Lo ritengo un elemento non solo fondamentale, ma necessario. Penso infatti che le materie scientifiche vengano insegnate ancora in modo troppo settoriale: pur facendo biologia bisogna sapere chi erano Lucrezio o San Francesco, giusto per fare un paio di esempi. Sono sempre stato un fervido sostenitore di una “nuova alleanza” tra cultura scientifica e cultura umanistica. Non a caso ho collaborato alla redazione della Antologia verde, un libro pubblicato da Giunti Marzocco per le scuole medie, il cui sottotitolo recita:Letture scientifiche, filosofiche e letterarie per una coscienza ecologica».
Hai ricevuto un grandissimo numero di premi e riconoscimenti per la tua attività scientifica e divulgativa, ma soprattutto all’estero. Si direbbe che in Italia tu sia meno conosciuto. Come lo spieghi?
«Difficile dirlo, forse dipende anche dal fatto che quando ho cominciato a occuparmi in modo approfondito di tematiche ambientali, intorno agli anni 70, in Italia quasi nessuno lo faceva, e ci muovevamo e studiavamo in un clima di grande diffidenza, se non di ostilità, persino in ambito accademico. Per non parlare del mondo dell’economia e della politica, allora totalmente impermeabili a questi problemi. È stato difficile e faticoso, ma anche appassionante, e oggi mi fa piacere che anche nel nostro Paese ci si ricordi del mio lavoro».
C’è qualche onorificenza che ricordi con maggiore piacere?
«Oh sì, ma probabilmente non del genere che ti puoi aspettare. In anni recentissimi mia figlia Elisa si trovava a Milano con mio nipote, nei giardini pubblici Montanelli. Sono stati avvicinati da una ragazza che faceva interviste, in modo del tutto fortuito proprio sull’ambiente. Al termine, quando la ragazza ha chiesto ad Elisa il suo nome, ha esclamato: “Parente di Enzo Tiezzi?”. Alla risposta affermativa non ci poteva credere, era emozionata e commossa fino alle lacrime! Aveva seguito un mio corso a Siena, e aveva letto e studiato alcuni miei libri. Al di là dell’aneddoto, questa è una grande soddisfazione per me: vedere che il mio lavoro e il mio pensiero sono ancora attuali, soprattutto tra i giovani, che sono il futuro del Pianeta».