Il Convegno di Lombardia Insieme organizzato da Fondazione The Bridge
Di Ada Andrea Baldovin e Eleonora Prinelli
Il convegno «Lombardia Insieme» organizzato dalla Fondazione The Bridge, si apre con l’intervento del direttore generale dell’assessorato al Welfare, Luigi Cajazzo, che denuncia il disequilibrio normativo sulla sanità in Lombardia rispetto agli altri enti.
Il convengo infatti, nasce proprio per discutere delle «nuove» necessità dei pazienti cronici presenti sul territorio lombardo, a cui hanno partecipato numerose associazioni di pazienti, medici e fondazioni.
Diventa immediatamente lampante che, al centro del dibattito, ci sia il paziente con i suoi diritti e i suoi doveri.
In primo luogo la logica organizzativadietro la presa in carico di quest’ultimo che, ad oggi, ancora deve farsi carico della prenotazioni di tutti gli esami e le visite (di routine). A questo punto allora, l’attenzione viene spostata involontariamente sulle associazioni di pazienti, il cui compito dovrebbe essere quello di fare da portavoce tra il singolo cittadino e le istituzioni. Compito che diviene arduo nel momento in cui non v’è una vera e propria struttura coordinata a questa attività di mediazione.
A questo punto è fondamentale la provocazione di Rosaria Iardino (Presidente della Fondazione The Bridge), che a questo proposito chiede sì di portare avanti le rivendicazioni, ma, allo stesso modo, di accompagnare le proteste con delle proposte.
«L’obbiettivo è vincere insieme», continua, «capiamo come interagire, altrimenti perdiamo entrambi».
Prima di dividere i partecipanti al convegno nei rispettivi quattro tavoli di lavoro, ci vengono fatti assimilare i pilastri di Fondazione The Bridge: Umanità, Semplificazione ed Equità.
Queste sono le parole chiave per una sanità e un dialogo migliori tra paziente e Regione.
I tavoli di lavoro avevano lo scopo di elaborare una sintesi dalla quale potessero emergere le diverse criticità del sistema, accompagnate da proposte di possibili soluzioni. Attorno al tavolo al quale abbiamo partecipato, «Il paziente al centro del sistema», vi erano diverse associazioni di pazienti, medici e qualche rappresentante della Regione Lombardia.
Il tema del paziente al centro dei processi di cura non è certo nuovo, se ne discute da molto tempo, ma rimane ancora un obiettivo essenziale per i sistemi sanitari. Anche perché, purtroppo, il paziente ricopre tutt’ora un ruolo più laterale che centrale nei procedimenti di presa in carico. Durante incontri come questi invece, attraverso l’ascolto dei bisogni delle persone, si possono creare delle reti efficaci che lavorino tra il paziente e le istituzioni, per migliorare gli elementi organizzativo-gestionali ancora carenti. I cittadini infatti, riscontrano parecchie difficoltà nel districarsi senza aiuti in un sistema che risulta complesso per via dell’estrema burocrazia che lo caratterizza. Tale problematica si presenta già a partire dalle prenotazioni delle prestazioni mediche, le cui procedure sono laboriose e differenti a seconda della struttura in cui ci si cura. Talvolta capita di dover chiamare decine di numeri telefonici diversi, a seconda dei CUP di competenza, rischiando poi di ritrovarsi con l’agenda chiusa, o con la prima visita disponibile dopo 7 mesi. Neanche il sito online di prenotazioni della Regione Lombardia al momento sembra essere d’aiuto, poiché i sistemi informatici delle varie strutture che atterrano sul sito della Regione, prevedono procedure diverse per prenotare. Insomma, si tratta di sistemi informatici che non parlano tra di loro, e quindi risultano inefficienti.
Troppo spesso il paziente cronico si trova da solo ad affrontare una giungla burocratica, al punto che la sua malattia diventa un vero e proprio lavoro. E qui entriamo nel vivo della questione: la differenza di trattamento della patologia acuta rispetto a quella cronica. Non si possono applicare le stesse procedure per entrambi i casi. Un malato cronico, che dovrà curarsi e fare controlli per tutta la vita, avrebbe bisogno di un supporto organizzativo- gestionale da parte di istituzioni e strutture sanitarie. Inoltre, forse sarebbe necessario che i medici di base e gli specialisti in questi casi dialogassero di più, in modo da lavorare «con» il paziente e non «sul» paziente.
La burocrazia è un grave fardello anche per medici e operatori, che a volte devono perdere più tempo per adempiere alle formalità d’ufficio che non a visitare la persona. Su questo il dirigente dell’Unità Organizzativa dell’Osservatorio Epidemiologico Regionale, Luca Merlino, ci ha rassicurati: uno snellimento dei processi di prenotazione e una omogeneizzazione dei diversi sistemi informatici sono in programma nel prossimo futuro, così come la transizione verso una logica trasversale di presa in carico del paziente.
Durante il convegno è emersa con forza anche la necessità di umanizzare il rapporto tra struttura ospedaliera e paziente, che spesso risente di tempistiche estremamente ristrette e atteggiamenti sbrigativi. Forse snellire le procedure burocratiche e ottimizzare i processi, potrebbe produrre benefici a cascata anche in questo senso.
Il personale socio-sanitario dovrebbe essere formato a gestire la sofferenza dei propri pazienti attraverso una preparazione psicologica fatta a priori. Potrebbe avvenire durante il percorso di studi universitario, oppure persino a partire dalla formazione scolastica attraverso il MIUR e la Regione. Potrebbe anche far parte dei corsi dell’ECM (Educazione Continua in Medicina). Sono solo idee, ma confidiamo nel fatto che insieme possiamo farle diventare delle proposte, anche grazie a convegni di politica partecipativa come questo.
Sul tema della cronicità, tutto sommato, sarebbe necessaria una formazione a tre livelli: una preparazione sulla relazione di cura per medici (anche quelli di Medicina Generale), infermieri e addetti allo sportello; una formazione per le associazioni, che possono essere un’efficace interfaccia tra pazienti e istituzioni; ed infine una formazione per i pazienti cronici, dove una maggiore consapevolezza della propria malattia può permettere loro di interagire efficacemente con il sistema, durante il processo di cura. Quest’ultimo è un aspetto da non sottovalutare. Il paziente, in quanto cittadino, ha dei diritti ma anche dei doveri: assumere i farmaci nel modo corretto, avere uno stile di vita sano, eseguire screening di prevenzione e, tra le altre cose, aderire correttamente ai processi assistenziali.
Cosa possono fare le associazioni in tutto questo? Questa è la sfida e la domanda alla quale abbiamo intenzione di rispondere assieme a Fondazione The Bridge e Regione Lombardia.
Sicuramente le associazioni dei pazienti devono avere un «occhio lungo sulla cittadinanza» ed essere quindi portavoce di criticità ed esigenze, ma anche di proposte. Noi abbiamo cercato di farlo, nella speranza che possa crescere una maggiore sinergia tra il lavoro del paziente e quello delle istituzioni. Mi sento di ringraziare vivamente Fondazione The Bridge e Regione Lombardia per aver aperto la possibilità a questo confronto costruttivo, che spero abbia presto seguito.