Di Ottavia Tagliabue
La coscienza è ciò che distingue l’uomo dal resto del regno animale. Curiosità e conoscenza sono, invece, le qualità che hanno spinto l’uomo ad evolversi a non fermarsi mai nella ricerca di qualcosa, qualcosa di incognito e non definito che risponde temporaneamente alla domanda: cosa viene dopo? Prima di iniziare a sproloquiare, faccio un passo indietro e ricomincio dall’analisi delle qualità prima citate: curiosità e conoscenza sono i requisiti che hanno permesso l’evoluzione dell’uomo stesso, evoluzione non solo genetica, bensì scientifica, ingegneristica, medica, etc. Talune evoluzioni sono il risultato delle risposte e soluzioni trovate per far fronte a necessità di vita della società stessa. Per essere più chiara: gli acquedotti sviluppati nell’Impero Romano (I secolo a.C. – IV secolo d.C.) hanno fatto capo alla necessità di acqua nelle città dello stesso, la penicillina (1929 circa – 1941) rappresenta la base antibiotica le cui applicazioni sono ben note, e così via.
Ma cosa succede quando due branche come, ad esempio, l’ingegneria e la medicina si incontrano?
E più in particolare quando l’ingegneria robotica, l’ingegneria cibernetica e la neurologia si fondono? A tale domanda vale la seguente risposta: innovazioni tecnologiche in grado di supportare l’uomo nelle sue attività quotidiane, nella sua vita, aiutandolo ad arrivare dove egli non può.
In particolar modo, mi riferisco all’esoscheletro. Prima di procedere bisogna dare una definizione di esoscheletro: in natura è lo scheletro esterno caratteristico degli artropodi (granchi, ragni, ecc.), costituito da chitina, cui si aggiungono, nello strato interno, sali minerali (calcarei) che gli conferiscono notevole durezza; uno scheletro naturale esterno al corpo, fungente da corazza. Ispirandosi a tale concetto è stato ideato un esoscheletro robotico, inizialmente per fini militari, poi approdato all’ambito lavorativo e soprattutto medico. Esso consiste in una struttura robotica sostenente il corpo umano dall’esterno e potenziante le capacità fisiche dell’uomo (anche dopo traumi gravi); in particolare, si tratta di una macchina sofisticata, capace di tradurre gli impulsi nervosi/neurali in segnali elettrici, e costituita da un insieme di articolazioni robotiche, controllate da un computer che ne coordina i movimenti. Motori e sensori svolgono le rimanenti funzioni, consentendo a chi lo indossa, di muoversi. Vi sono diverse tipologie di esoscheletro le cui finalità variano a seconda dell’ambito applicativo; si procede quindi per ordine di ambito, fornendo una breve descrizione dei primi due precedentemente citati e soffermandosi di più sull’ultimo.
I) militare: sviluppati per rinforzare prestazioni fisiche (prevalentemente) dei soldati. Ne vengono sviluppati diversi tipi, differenziati dalle capacità mobili da questi possedute: sollevare e trasportare pesi fino a 90 chili su una varietà di terreni di diversa natura, salire le scale etc.
II) lavoro: maggiore diffusione per applicazioni edili, industriali e di produzione; tendenzialmente volto al completamento di attività manuali pesanti con meno fatica, miglioramento dell’abilità lavorativa e riduzione del numero di infortuni sul lavoro. Differentemente dall’ambito precedente e da quello medico-riabilitativo, il modello più diffuso consiste in un esoscheletro per la parte superiore del corpo, supportante il busto e gli arti superiori del lavoratore, per aiutarlo a far fronte all’eventuale sovraccarico; altri modelli sono riferibili al sostegno del carico dato dall’uso di utensili da lavoro.
Quanto visto finora si riferisce ad esoscheletri che rispondono alla necessità di potenziamento della forza o della resistenza fisica di determinate persone.
Vi sono, poi, individui che, differentemente dai precedenti, presentano forza e resistenza nello spirito, dati i traumi fisici subiti, e date le circostanze a loro avverse limitanti la mobilità e la salute. Per questi ultimi sono state ideate differenti tecnologie robotiche volte al superamento dei limiti di mobilità e alla restituzione del senso di capacità (ad ampio raggio) e realizzazione, ormai non più sperato. Senza troppi indugi si presenta quindi l’ultimo ambito
III) medico: diverse sono le tecnologie sviluppate dalla robotica biomedica, poiché diverse sono le necessità cui essa può rispondere. Tra le principali risorse si è deciso di fare riferimento all’esoscheletro riabilitativo per arti inferiori: si tratta di una tuta bionica (rappresentata in foto), utilizzabile – sotto controllo medico – da individui affetti da paralisi da ictus, lesioni del midollo spinale, e malattie quali la tetraparesi spastica, permettendo ai soggetti affetti di rialzarsi dalla sedia a rotelle, anche se ancora per tempi ridotti, e ricominciare a camminare.
La tuta è una struttura robotica i cui sensori compensano la forza mancante negli arti inferiori del paziente, controllando fino anche a 500 volte al secondo il movimento del corpo, per conferirgli stabilità; inoltre, per alcuni modelli, attraverso un’apposita piattaforma (generalmente dislocata nella parte posteriore della stessa – dietro alla schiena) i dati di ogni singola seduta di riabilitazione possono essere memorizzati nel cloud (database) e richiamati dal fisioterapista in qualunque momento, consentendogli di personalizzare il percorso di riabilitazione di ogni singolo paziente, monitorare con più precisione i progressi, e apportare gli aggiustamenti necessari per migliorare il percorso terapeutico.
Riassumendo: sono di strumenti che aiutano il paziente a sviluppare e/o riprendere le proprie capacità di mobilità, e nel contempo aiutano i medici nella creazione di una cartella clinica all’interno della quale vengono registrati i dati del paziente, agevolando così anche il processo di monitoraggio dello stato di salute dello stesso. Le innovazioni tecnologiche viste finora hanno alti costi che non permettono ai privati di accedervi facilmente; sono, tuttavia, ampiamente diffusi e presenti nei centri di riabilitazione di diversi ospedali e in strutture sanitarie sparse nel nostro Paese e nel mondo.
Quanto presentato fa riflettere non solo su noi stessi, ma in generale sulle nostre capacità, sulla nostra mente. Sorge la necessità che la società inizi a pensare al cervello come a uno strumento dal potenziale infinito da sviluppare a fin di bene.
Uno strumento volto, quindi, all’ampliamento di opere come quella appena presentata che possa giovare alla società, portando speranza e soprattutto: «Felicità» – nome dato all’esoscheletro da una ragazza affetta da Tetraparesi spastica, alzatasi per la prima volta dopo 16 anni di sedia a rotelle.
Speranza e felicità: qualità umane restituite da una «macchina».