Di Giulia Russo
Ci troviamo nel cuore di Milano, a pochi passi dal Teatro alla Scala e dal Quadrilatero della moda, ma il gioiello di cui parleremo non se lo contendono né la vetrina di Chanel né, tantomeno, quella di Dior. Infatti, ciò che rende il nostro gioiello particolarmente prezioso non è il fatto di trovarsi in Via Montenapoleone ma, piuttosto, la sua stessa storia.
Si tratta del Museo Poldi Pezzoli, inaugurato nel 1881 e nato per volontà del collezionista milanese Gian Giacomo Poldi Pezzoli: una raccolta di opere inestimabili firmate da alcuni tra i principali Maestri Rinascimentali come Pollaiolo, Lotto, Luini, Bellini e Mantegna. Capire l’anima di una collezione non è mai una questione semplice, ma per Annalisa Zanni, che lavora in questa casa-museo da trent’anni, è un’altra storia. Laureata in Storia dell’arte Medievale e Moderna presso l’Università Statale di Milano, si è occupata dell’organizzazione e della promozione di tutte le mostre che si sono tenute nel Museo a partire dal 1979, prima nel ruolo di conservatore e dal 1999 di direttore.
Ed è così che, parallelamente all’apertura della Biennale di Venezia, parlare di arte con chi si ritrova quotidianamente a gestire una collezione di seimila oggetti tra pittura e arti decorative, diventa un interessante spunto per riflettere sullo stesso significato di «arte».
Cosa è veramente cambiato nel rapporto tra museo e visitatore durante gli anni?
«Il vero cambiamento è quello dei linguaggi» – esordisce così la direttrice. Prima la casa-museo, infatti, era dedicata ai grandi intenditori, collezionisti o, in ogni caso, a coloro che erano in grado di comprendere immediatamente l’altissima qualità della collezione. Quindi, rispetto alla popolazione di visitatori, chi riusciva ad apprezzarne veramente il valore era un gruppo più ristretto di persone. Oggi, invece, quello che Annalisa Zanni considera non tanto come compito, ma piuttosto come dovere è il «parlare a tutto il pubblico», a prescindere dall’età e dalla relativa preparazione culturale. Ciò si traduce nella promozione di iniziative e investimenti con il fine di avvicinare il pubblico agli oggetti, tramite un approccio all’arte a volte più emozionale, altre più oggettivo.
Il museo diventa così un luogo dove poter imparare con piacere, apprezzando la bellezza e la qualità non solo degli oggetti esposti, ma anche degli artisti che li hanno realizzati.
Per fare in modo che questo si realizzi, secondo la direttrice, è importante stabilire un percorso a partire dall’infanzia. È infatti dal 1975 che il Poldi Pezzoli si occupa della didattica per i bambini, consapevole dell’importanza di abituarli all’osservazione, al piacere del bello e di ciò che la nostra storia e la nostra identità ci hanno consegnato. Questo percorso il museo l’ha compiuto, declinandolo a seconda delle diverse modalità di cambiamenti – intesi come linguaggi – riscontrati nel pubblico e nella società. Come farlo, se non coinvolgendo direttamente i giovani e facendoli diventare protagonisti attivi nell’apprendimento dei loro coetanei? È il concetto alla base degli aperitivi organizzati al museo, al seguito dei quali è prevista una visita parziale della collezione. Giovani guide che, data la vicinanza d’età, capiscono meglio quali siano le modalità più idonee per rendere l’esperienza memorabile. Non è solo una questione di dare, ma di coinvolgere, perché è solo attraverso questo avvicinamento che è possibile far riscoprire alle persone la propria identità culturale, trasmettendo l’importanza di concetti quali la conservazione e la valorizzazione.
Una direzione particolarmente brillante e dinamica, in grado di accogliere la novità e i linguaggi un po’ più tecnologici odierni. Lo smartphone, infatti, non solo diventa uno strumento attivo durante il percorso di visita, ma anche un’efficace modalità di «viralizzazione», di dialogo e di conoscenza, utile per incuriosire. Attenzione però, per quanto gli scatti condivisi possano far impazzire il web, la conoscenza diretta non potrà mai essere sostituita: «è pericoloso illudere di poter comprendere e capire l’opera da una foto». L’opera è materia, solo vedendola da vicino si possono comprendere a 360 gradi i passaggi che hanno portato alla sua esecuzione e il saper fare dell’artista. Con il fine di apprezzare maggiormente il valore artistico delle opere nella collezione, tra le proposte del museo vengono organizzati da professionisti dei laboratori per replicare una determinata tecnica artistica e dare la possibilità al visitatore di mettersi alla prova con i grandi maestri del passato. Tutto questo, come potete capire, non può assolutamente essere percepito da una foto scaricata da internet.
Qual è allora il significato di «arte» per Annalisa Zanni?
«L’arte offre una lettura della realtà verso il futuro, in un cammino di formazione che coinvolge tutta l’umanità. L’arte si traduce nella capacità di cogliere la bellezza, la qualità e la positività anche nella provocazione».
Quindi sì, anche il barcone dei migranti alla Biennale di Venezia ha il suo motivo di essere.