GIANNI BERENGO GARDIN, artista o artigiano?

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Di Edoardo Grandi

«Non voglio definirmi un artista, non mi sento tale. Sono un artigiano che cerca di fare al meglio il suo mestiere. Mi dà più soddisfazione essere definito un buon fotografo. Molti sedicenti artisti che fanno fotografia sembra che ricevano la luce direttamente da Dio e camminano a settanta centimetri dal suolo dandosi un sacco di arie. La foto di documentazione è un lavoro civile, di comunicazione, e non nascondo la mia presunzione nel considerarla più importante».

Esordisce così Gianni Berengo Gardin, uno dei più grandi fotografi italiani, tra i pochi famosi anche nel resto del mondo, sgombrando subito il campo da ogni possibile equivoco. Le sue rigorose immagini in bianco e nero registrano e segnano l’evolversi della società del nostro Paese (e non solo), in una lunga storia che a partire dagli inizi degli anni ’50, prosegue ancora oggi.

Gianni Berengo Gardin in un ritratto di Francesco Barasciutti

Nato a Santa Margherita Ligure nel 1930, è però cresciuto nella sua amata Venezia, dove da ragazzo comincia l’attività di fotoamatore, imparando la tecnica al circolo fotografico La Gondola. Ride pensando a questi suoi esordi, con foto che lui stesso definisce «sceme», scattate a soggetti che non aveva senso fotografare. In quel periodo, tramite uno zio che viveva negli Stati Uniti, riceve numerosi libri di un genere per lui nuovo. Sono volumi con le foto degli autori che lavorano per Life, come Eugene Smith, Dorothea Lange e molti altri, tutti fotografi di reportage. Spronato dal critico Romeo Martinez, allora direttore dell’autorevole rivista Camera, imprime una svolta alla sua vita abbandonando le velleità di giovane fotoamatore per dedicarsi all’attività di documentazione e diventando professionista. Dopo aver vissuto anche a Roma, Lugano e Parigi, nel 1965 si stabilisce a Milano. I suoi primi lavori appaiono nel 1954 su Il Mondo, e poi sulle principali testate italiane ed estere, ma si è dedicato soprattutto alla pubblicazione di libri fotografici, più di 250 fino ad oggi.

Il primo di questi, Venise des Saisons, dopo essere stato rifiutato da numerosi editori italiani (perché giudicato di scarso interesse) esce nel 1965 grazie a un editore di Losanna, con testi di Mario Soldati e Giorgio Bassani. Quest’ultimo dice, a proposito della Venezia fotografata da Berengo Gardin: «vive e palpita: come tutto ciò che appartiene alla storia dolorosa e gioiosa degli uomini».

Ed è proprio un senso di profonda umanità che traspare dalle sue fotografie, grazie alla sua attenzione per il sociale, che lo porta a volte ad importantissimi lavori di denuncia. Tra questi il volume Morire di Classe(con Carla Cerati), pubblicato nel 1969, raccoglie le foto scattate in manicomio a Gorizia ed è a cura del grande psichiatra Franco Basaglia, che ha rivoluzionato il modo di approcciarsi alla salute mentale (la legge 180/78 ha portato alla chiusura dei manicomi, è tuttora nota come legge Basaglia). È stato lo stesso psichiatra a volere la pubblicazione del libro e a farne distribuire copie a tutti i parlamentari del tempo, perché si rendessero conto della situazione aberrante in cui si trovavano i manicomi. Morire di Classe viene tuttora utilizzato come fondamentale documentazione nelle università di psicologia e psichiatria. 

In anni più recenti ha svolto molti altri lavori a tema sociale, come quelli sfociati nei due libri La disperata allegria. Vivere da zingari a Firenze.e  Zingari a Palermo.Herdelesi e S. Rosalia.Ancora oggi vere e proprie opere controcorrente, che si prefiggono di smantellare i falsi stereotipi su queste comunità.

Non bisogna però pensare che intenda il «sociale» come attenzione solo e necessariamente agli ultimi, ai più sfortunati, agli esclusi. Afferma infatti che può benissimo fotografare anche i principi Torlonia, dato che anche loro fanno parte della società. A questo proposito va segnalato il libro Italiani(1999), che raccoglie quasi cinquant’anni di ritratti della nostra gente, da nord a sud, che testimoniano l’evolversi del costume, della cultura e della politica dell’Italia.

L’eclettismo nella scelta dei soggetti da parte di Berengo Gardin si riflette anche in altre opere. Per lunghi anni ha lavorato per le principali industrie italiane, quali Ansaldo, Alfa Romeo, Dalmine, Olivetti, Fiat e altre, realizzando monografie aziendali con un taglio personale e riconoscibile. Le sue foto industriali non sono pubblicità da catalogo del prodotto, ma reportage che riguardano, ad esempio, il lavoro in fabbrica, oppure le colonie estive e gli asili per i figli dei dipendenti della Olivetti. Anche qui è l’elemento umano a predominare. Dal 1979 al 2012 ha documentato per Renzo Piano le fasi di realizzazione dei suoi progetti architettonici.

In tempi recentissimi ha dedicato la sua attenzione al problema delle grandi navi a Venezia. La mostra, che inizialmente doveva raccogliere i suoi scatti sull’argomento, è stata censurata dal sindaco di Venezia, Brugnaro, fatto che ha causato molto scalpore. Tutte le principali testate italiane, ma anche molte estere, hanno dato grande risalto al rifiuto da parte delle istituzioni della Serenissima, al punto che Berengo Gardin afferma oggi ironicamente che con il senno di poi deve essere riconoscente al sindaco per l’insperata pubblicità ricevuta. La mostra è stata poi realizzata con la collaborazione del FAI (Fondo Ambiente Italiano), e le foto che immortalano il passaggio di questi nefasti «grattacieli del mare» sono state esposte, nel 2014 e 2015, a Villa Necchi Campiglio a Milano e al Negozio Olivetti di piazza San Marco a Venezia, e raccolte nel volume Venezia e le Grandi Navi, pubblicato da Contrasto nel 2015.

Durante la sua lunga e brillante carriera ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti. Nel 1990 è invitato d’onore al Mois de la Photo di Parigi, dove vince il Prix Brassaï. Nel 1995 è la volta del Leica Oskar Barnack Award, ai Rencontres Internationales de la Photographie di Arles. Nel 1998 si aggiudica il premio Oscar Goldoni. Nel 2005 vince il premio Città di Trieste per il reportage. Nel 2007 riceve il premio Werner Bishof. Nel 2008 è la volta del prestigioso Lucie Award, New York, vinto in precedenza da Henri Cartier-Bresson, Gordon Parks, William Klein, Willy Ronis, Elliott Erwitt. Nel 2009 riceve la laurea honoris causa in Storia e Critica dell’Arte presso l’Università degli Studi di Milano. Nel 2012 la città di Milano gli assegna l’Ambrogino d’Oro. Nel 2014 vince il Premio Kapuściński per il reportage. Nel 2015 è insignito del titolo di Architetto Onorario dal Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori. Nel 2017 riceve a Roma il Leica Hall of Fame Award.

Le sue immagini fanno parte delle collezioni di importanti musei e fondazioni culturali, tra cui la Calcografia Nazionale di Roma, il MOMA di New York, la Bibliotheque Nationale, la Maison Européenne de la Photographie e la Collection photo FNAC di Parigi, il Musée de l’Elysée di Losanna, il Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofia di Madrid.

Nel 1972 la rivista Modern Photography lo annovera tra i «32 World’s Top Photographers». Nel 1975 Cecil Beaton lo cita nel libro The magic Image. The genius of photography from 1839 to the present day.Nel 1975 Bill Brandt lo seleziona per la mostra «Twentieth Century Landscape Photographs» al Victoria and Albert Museum di Londra. Nel 1982 E. H. Gombrich lo cita come unico fotografo nel libro The Image and the Eye. Fa parte degli 80 fotografi scelti nel 2003 da HCB per la mostra «Les choix d’Henri Cartier-Bresson». Nel 2015 Hans-Michael Koetzle gli dedica diverse pagine nel volume “Eyes Wide Open! 100 Years of Leica Photography”.

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