Nell’immagine in evidenza, PH: Sonia De Boni, una scena di Senza Parlare
Di Martina Dimastromatteo
Sara compie 18 anni, ma non ha nessuna voglia di festeggiare. O meglio, festeggerebbe anche, se suo fratello maggiore Marco, che sta organizzando la sua festa, la ascoltasse e mettesse in pratica i suoi desideri. Ascoltarla, però, non è così semplice. Fin dalla nascita, Sara è affetta da paralisi cerebrale di tipo spastico. Questo, col passare degli anni, ha comportato un progressivo allontanamento tra la vita di Marco e quella di Sara, che lentamente si sono ritrovati come su due pianeti distanti, senza riuscire a comunicare. Lei è arrabbiata con lui, esausta. Lui, esasperato dal suo ruolo di tutore, desidera solo un momento di banale normalità. Ma nella quotidianità con Sara anche le domande più semplici spesso faticano a ricevere una risposta di facile lettura.
Come uscire da questa situazione faticosa e frustrante? Bisogna inventare un nuovo linguaggio comune ad entrambi. Bisogna avvicinarsi. È proprio di questo che si occupa il Centro Benedetta d’Intino, specializzato nella pratica della Comunicazione Aumentativa Alternativa, fornendo ogni tipo di sostegno alle persone con problemi di comunicazione gravi.
Senza Parlare, prodotto dal Teatro Comunale Giuseppe Verdi di Pordenone, con il sostegno di Fondazione Friuli, nasce, ormai tre anni, fa proprio dall’incontro tra la regista, Lisa Moras, e il Centro Benedetta d’Intino. L’idea era quella di usare il teatro come strumento per sensibilizzare il pubblico rispetto al tema della disabilità comunicativa. Ha preso forma così la storia di Sara (Caterina Bernardi) e Marco (Marco S. Bellocchio). In questi anni, lo spettacolo è mutato, si è ampliato ed è cresciuto. Lisa Moras riesce a raccontare la disabilità con naturalezza, senza cadere in banalità e cliché, aiutata dall’immaginifico apparato scenico messo a punto da Stefano Zullo.
Un tavolo da lavoro con due postazioni ben distinte agli estremi. Fa da fondale un reticolo di ricordi, sul quale si trovano gli oggetti che hanno fatto parte dell’infanzia dei due fratelli. Come di consueto, Stefano Zullo crea uno spazio apparentemente fisso, semplice, ma che muta quando meno ce lo si aspetta. In questo caso, gli oggetti sul fondo diventano dei volumi per alcuni giochi di proiezione, instaurando un dialogo con Marco, sostituendosi alla voce di Sara. Questo incastro perfetto è coadiuvato dagli effetti luce di Alberto Biasutti, che è anche autore delle musiche. Fanno da intermezzo alcune proiezioni del film preferito di Sara: Colazione da Tiffany. L’apparente ambientazione sognante della pellicola, sottolinea ancora una volta, da un punto di vista differente, una comunicazione che fatica a delinearsi.
Marco S. Bellocchio e Caterina Bernardi mostrano i propri personaggi da ogni punto di vista, scavando nel profondo e mostrandone ogni fragilità. Nel corso dello spettacolo vediamo in scena un continuo contrasto: da una parte Marco, che si muove nella quotidianità e si rapporta con sua sorella, rappresentata da una sedia assistita, come se fosse paralizzata. Dall’altra parte Sara si immagina in continuo movimento, e nei suoi balli sfrenati vediamo la sua vita interiore, i suoi desideri, le sue preoccupazioni e le sue paure. Due realtà che però, sul finale, finiranno col riconciliarsi, col riconoscersi l’una nell’altra, in un teatrino di luci. Senza Parlare è uno spettacolo che parla di disabilità, ma che allo stesso tempo parla di una storia universale, poiché tutti, in maniera diversa, spesso non riusciamo a capire o a farci capire, tutti ci confrontiamo con il silenzio. Lo scorso 13 giugno, la sala grande del Teatro Franco Parenti è stata illuminata da un lavoro profondo e sensibile, a dimostrazione che l’impegno di tanti bei cuori traspare, sempre.