Società ed educazione. Quale futuro stiamo costruendo?

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Due articoli, Società ed Educazione, scritti rispettivamente da Alice Nebbia e Fiamma Colette Invernizzi. Il mondo attende delle risposte a problemi che emergono in questo presente incerto e per alcuni versi inquietante. I B.Livers si sono soffermati su cinque punti: educazione, pianeta, tecnologia, società e spiritualità. L’obiettivo è produrre la strada del futuro.

Società

Di Alice Nebbia

Pensare al futuro della nostra società è qualcosa di difficile ma doveroso, come cittadini, ma ancor prima come individui responsabili del nostro domani e di quello delle nuove generazioni. 

Ultimamente, sono numerosi i quotidiani che si stanno sbizzarrendo con articoli su ipotetici futuri scenari della società e altrettanto numerosi i libri che tratteggiano le probabili società del domani. Dibattiti e previsioni che qui, nel «Bel Paese», sembrano aver poco di ottimistico. 

L’Italia risulta essere una nazione con aspettative di vita maggiori rispetto al passato, ma con nascite che faticheranno a compensare i futuri decessi, con sempre più giovani insoddisfatti della precarietà della loro vita e con una percentuale di anziani sempre più elevata. Un Paese per vecchi, come lo definiscono in molti. Dalle proiezioni infatti, emerge che una percentuale di questi ultimi sembra apprezzare la vita più dei giovani. 

Un paradosso che porta ad avere persone anagraficamente anziane ma con una mentalità e uno stile di vita giovanile e, giovani (a livello anagrafico) con una mentalità obsoleta

Quello che appare più sconcertante è che queste previsioni provengono da un Paese come l’Italia in cui mille difficoltà, mille incertezze, mille problemi sono corollari di una vita dove oggi, a livello materiale, non dovrebbe mancare nulla per il supporto e il sostentamento di nuove vite umane.

Paradossalmente, a confortare invece, sono i dati che provengono dai Paesi più poveri che dimostrano come la natalità sia maggiore in Africa piuttosto che in Europa. E non è solo un discorso di differenze culturali o di educazione. Da parte nostra, il punto è un altro: forse ci sono il timore e l’incertezza di assumersi determinate responsabilità. 

La responsabilità, per esempio, di dover andare incontro alle necessità di un figlio, di seguirlo nel suo percorso di crescita, di saper essere all’altezza di un lavoro senza cedere allo stress fisico e mentale, di confrontarsi con un tempo che sembra sempre mancare.

Insomma una serie di sconvolgimenti a cui la società del benessere ci ha abituato, così siamo portati egoisticamente a fare delle scelte che ci privano poi di qualcuno o di qualcosa. Di noi stessi, dei nostri cari, del nostro tempo, del nostro benessere e forse, anche della nostra felicità. Per fare questo bisogna, insieme, costruire qualcosa che possa aiutare i genitori e le famiglie a crescere e supportare bambini e giovani, perché diventino una preziosa ricchezza su cui poter investire. La notizia, a fine giugno, della nascita di 29 neonati nel giro di ventiquattr’ore, presso la clinica Mangiagalli di Milano, rappresenta una luce in fondo a questo tunnel così buio, oltre che una grande speranza per il futuro.

Riprendiamo in mano noi stessi, riappropriamoci delle nostre capacità e del nostro potenziale e mettiamolo a disposizione degli altri, senza timore o incertezza. 

Educazione

Di Fiamma Colette Invernizzi

Anno 2091. Dal surriscaldamento globale, dall’innalzamento degli oceani ormai in overdose di plastica e dalla decimazione dell’ultima foresta pluviale, l’essere umano ha imparato qualcosa: ricominciare da capo. Valorizzare. Prendersi cura. Costruire alloggi accoglienti e non metri cubi di profitti, coltivare le menti invece dei portafogli. E così facendo ha ricominciato dall’inizio, dalla base, dall’educazione e dalla scuola. Gli edifici sono – prima di tutto – esteticamente belli. Non più calcestruzzo morsicato dalla corrosione e intonaco che assomiglia ad un puzzle senza soluzione. Niente più caloriferi di ghisa che non scaldano d’inverno – o scaldano troppo – e finestre sigillate che non permettono all’aria di ossigenarsi in primavera. Sedie e tavoli ergonomici si alternano con lavagne tradizionali e LIM di ultima generazione, portatili e tablet affiancano i numerosi libri stipati sugli scaffali comuni, come in una grande biblioteca condivisa. Uno spazio bello, senza nemmeno volerlo, insegna sempre due cose: l’orgoglio di farne parte e la volontà che rimanga tale. I finanziamenti sono copiosi e ben utilizzati, gli orari flessibili e ampi, gli insegnamenti multidisciplinari e appassionanti, condotti da maestri consapevoli di poter spendere le loro energie nella creazione di nuove coscienze sociali. A scuola si vive e non si pascola passivamente. Le lezioni frontali si alternano alle sperimentazioni in laboratorio, mentre le materie tradizionali si intrecciano con l’amore per una cultura sempre più ampia. Ibsen e Cervantes, Beethoven e Verlaine non restano reclusi e appannaggio di pochi. 

Che cosa vuoi fare da grande? non si dice più, risuonando come una domanda obsoleta – che ricorda il periodo in cui i titoli si anteponevano alle persone e non le persone ai titoli – e viene soppiantata dal quesito Che persona vorrai essere da grande?,capace di muovere profonde riflessioni sociali e non demenziali stereotipi di classe. Sensibilità, cultura e collaborazione sono i pilastri educativi fondamentali, introdotti fin dai primi anni e insegnati tramite l’esplorazione e la cura per la natura e l’empatia che, su modello danese, è materia scolastica ufficiale dall’ormai lontano 1993. La hyggenordica, infatti – definibile come intimità creata intenzionalmente– è l’ingrediente che più dimostra alle giovani menti come la condivisione della fragilità e della vulnerabilità sia di sostanziale importanza per la creazione di gruppi di lavoro coesi, in cui la competizione non provoca altro se non effetti positivi. Tutte le scuole restano aperte, sempre, con tanto di connessione Wi-Fi ad alta velocità e materiale a disposizione, perché lo studio e l’apprendimento non hanno orari o restrizioni temporali.

Anno 2019. Siamo ancora qui, con gli istituti che traballano come instabili anziane dimenticate, con dei professori sottostimati, senza gli adeguati finanziamenti e soprattutto con poca speranza. D’altronde lo diceva anche Italo Calvino: «Un Paese che distrugge la sua scuola non lo fa mai solo per soldi, perché le risorse mancano, o i costi sono eccessivi. Un Paese che demolisce l’istruzione è già governato da quelli che dalla diffusione del sapere hanno solo da perdere». E questo deve cambiare.

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