La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere. Il Consiglio superiore della magistratura è presieduto dal Presidente della Repubblica. Ne fanno parte di diritto il primo presidente e il procuratore generale della Corte di cassazione. Gli altri componenti sono eletti per due terzi da tutti i magistrati ordinari tra gli appartenenti alle varie categorie, e per un terzo dal Parlamento in seduta comune tra professori ordinari di università in materie giuridiche ed avvocati dopo quindici anni di esercizio. Il Consiglio elegge un vicepresidente fra i componenti designati dal Parlamento. I membri elettivi del Consiglio durano in carica quattro anni e non sono immediatamente rieleggibili. Non possono, finché sono in carica, essere iscritti negli albi professionali, né far parte del Parlamento o di un Consiglio regionale.
Titolo IV. Sezione I. Art.104 della Costituzione Italiana
Il nostro ordinamento giuridico si fonda sul principio della separazione dei poteri. Aristotele lo aveva anticipato, Montesquieu lo ha ribadito evidenziando la necessità che le funzioni legislativa, esecutiva e giurisdizionale fossero affidate a poteri diversi. Era il 1789. Oggi il principio della separazione assoluta dei poteri viene riletto dall’evoluzione costituzionale che lo ha messo in discussione. L’esecutivo ha sempre più poteri legislativi, il parlamento legifera meno. Quanto al potere giurisdizionale, in passato i tribunali rappresentavano «i templi della giustizia» e i giudici erano la bouche de la loi. Oggi, invece, magistrati e politici (e uomini dello spettacolo) si confondono troppo spesso in un unico soggetto.
La sfiducia verso i rappresentanti del potere giurisdizionale è ora particolarmente forte da imporre un cambiamento strutturale. Ci soffermiamo in particolare sull’art. 104 della Costituzione, all’origine di molti dibattiti: «La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere […]».
La previsione è figlia di un periodo storico in cui veniva celebrato il c.d. processo inquisitorio ove la figura del giudice e dell’accusatore erano un unicume non esistevano accusato e accusatore come parti processuali. Il giudice istruttore formava la prova al di fuori del processo, dove poi l’imputato era chiamato ad assumere le proprie difese.
L’ultima grande riforma del processo penale, la Vassalli del 1989, ha trasformato il processo da inquisitorio ad accusatorio, ove la prova si forma in dibattimento davanti a un giudice terzo e imparziale.
Il cambio di disciplina non pare però aver interessato anche una revisione del ruolo dei magistrati.
L’attuale assetto parrebbe all’origine di due ordini di problemi, uno esterno, l’altro interno al sistema. Nel primo è sempre più frequente la sovrapposizione tra politica e magistratura; nel secondo vi è molta confusione ed eccessiva vicinanza tra magistratura requirente e giudicante. Fulcro comune a entrambi – già lo disse il magistrato Falcone – è la inevitabile separazione delle carriere da cui deriverebbe anche il decremento dell’influenza politica sul potere giurisdizionale. La magistratura non deve essere un «comodo strumento di governo», bensì tornare ad essere un efficace strumento al servizio dei cittadini.
Almeno 50.000 cittadini hanno sottoscritto la proposta di legge volta a modificare gli articoli della Costituzione che disciplinano il potere giurisdizionale e chi lo esercita. In particolare, la prospettata modifica dell’art. 104 che dovrebbe prevedere la separazione tra magistratura giudicante e requirente. Lo sdoppiamento escluderebbe il rischio di una subordinazione della magistratura requirente al potere esecutivo e dovrebbe ridurre l’influenza politica. Il cambiamento deve considerarsi oggi più che mai ineluttabile, la proposta di legge è di iniziativa popolare, segnale importante in un’epoca di profondo individualismo e sfiducia verso le Istituzioni. E di fronte a questo cittadino non più apatico, ci auguriamo che il Legislatore si faccia carico della tenzone (apice di lungo percorso di battaglie) e ritorni ad essere garante della Costituzione.
Una grande responsabilità
Da difendere il potere del Consiglio Superiore della Magistratura
Di Eleonora Bianchi
La magistratura è riconosciuta come ente autonomo e indipendente da ogni altro potere ed il giudice è soggetto solo alla legge. Alla magistratura vengono inoltre riconosciute caratteristiche quali l’inamovibilità e la nomina per concorso.
L’inamovibilità si riconosce nel fatto che i magistrati non possono essere tolti dalla loro carica o sospesi se non dal Consiglio Superiore della Magistratura, il cui presidente è il Presidente della Repubblica. Si tratta di un organo che si occupa di mantenere l’autonomia e l’indipendenza della magistratura, che gestisce le decisioni maggiormente significative riguardo alla carriera e alla professione dei magistrati.
Il fatto di essere eletti per concorso infatti, si identifica nell’inserimento all’interno della magistratura, di figure il cui accesso deve sottostare a determinati requisiti, come laurea in giurisprudenza e conseguente specializzazione. Chiunque acceda alla magistratura deve possedere requisiti di idoneità per il ruolo di seria importanza che andrà a ricoprire. La magistratura è quindi un organo a cui vengono riconosciute grandi responsabilità e viene concesso un grande potere. Concedere tale potere, credo sia davvero importante verso lo Stato. Riconoscere tale potere e concedere autonomia a quest’organo è quindi necessario per gestire situazioni di grande rilevanza. Si tratta di un potere che è concesso secondo criteri e requisiti specifici ed è importante che i magistrati sappiano usufruire adeguatamente dell’autonomia che è loro riconosciuta e dell’inamovibilità concessa loro.
I componenti sono così eletti:
Il Consiglio superiore della Magistratura [cfr. artt. 105, 106 c.3, 107 c.1] è presieduto dal Presidente della Repubblica [cfr. art.].
Ne fanno parte di diritto il primo presidente e il procuratore generale della Corte di Cassazione.
Gli altri componenti sono eletti per due terzi da tutti i magistrati ordinari tra gli appartenenti alle varie categorie, e per un terzo dal Parlamento in seduta comune [cfr. art. 55 c.2] tra professori ordinari di università in materie giuridiche ed avvocati, dopo quindici anni di esercizio.
Il Consiglio elegge un vicepresidente fra i componenti designati dal Parlamento.
I membri elettivi del Consiglio durano in carica quattro anni e non sono immediatamente rieleggibili.
Non possono, finché sono in carica, essere iscritti negli albi professionali, né far parte del Parlamento o di un Consiglioregionale.
Mantenere tale struttura e continuare ad avere un articolo così impostato è importante all’interno della nostra Costituzione e rispetto ad altri che magari andrebbero aggiornati, questo principio dovrebbe essere solamente applicato correttamente, senza supporre che vi siano partecipanti che non ne abbiano l’effettivo diritto e che non siano in grado di essere giudici corretti.
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Commento all’articolo 104 della Costituzione
Di Benedetta Cappiello
Il nostro ordinamento giuridico si fonda sul principio della separazione dei poteri. Aristotele lo aveva anticipato, Montesquieu lo ha ribadito evidenziando la necessità che le funzioni legislativa, esecutiva e giurisdizionale fossero affidate a poteri diversi. Era il 1789. Oggi il principio della separazione assoluta dei poteri viene riletto dall’evoluzione costituzionale che lo ha messo in discussione. L’esecutivo ha sempre più poteri legislativi, il parlamento legifera meno. Quanto al potere giurisdizionale, in passato i tribunali rappresentavano «i templi della giustizia» e i giudici erano la bouche de la loi. Oggi, invece, magistrati e politici (e uomini dello spettacolo) si confondono troppo spesso in un unico soggetto.
La sfiducia verso i rappresentanti del potere giurisdizionale è ora particolarmente forte da imporre un cambiamento strutturale. Ci soffermiamo in particolare sull’art. 104 della Costituzione, all’origine di molti dibattiti: «La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere […]».
La previsione è figlia di un periodo storico in cui veniva celebrato il c.d. processo inquisitorio ove la figura del giudice e dell’accusatore erano un unicume non esistevano accusato e accusatore come parti processuali. Il giudice istruttore formava la prova al di fuori del processo, dove poi l’imputato era chiamato ad assumere le proprie difese.
L’ultima grande riforma del processo penale, la Vassalli del 1989, ha trasformato il processo da inquisitorio ad accusatorio, ove la prova si forma in dibattimento davanti a un giudice terzo e imparziale.
Il cambio di disciplina non pare però aver interessato anche una revisione del ruolo dei magistrati.
L’attuale assetto parrebbe all’origine di due ordini di problemi, uno esterno, l’altro interno al sistema. Nel primo è sempre più frequente la sovrapposizione tra politica e magistratura; nel secondo vi è molta confusione ed eccessiva vicinanza tra magistratura requirente e giudicante. Fulcro comune a entrambi – già lo disse il magistrato Falcone – è la inevitabile separazione delle carriere da cui deriverebbe anche il decremento dell’influenza politica sul potere giurisdizionale. La magistratura non deve essere un «comodo strumento di governo», bensì tornare ad essere un efficace strumento al servizio dei cittadini.
Almeno 50.000 cittadini hanno sottoscritto la proposta di legge volta a modificare gli articoli della Costituzione che disciplinano il potere giurisdizionale e chi lo esercita. In particolare, la prospettata modifica dell’art. 104 che dovrebbe prevedere la separazione tra magistratura giudicante e requirente. Lo sdoppiamento escluderebbe il rischio di una subordinazione della magistratura requirente al potere esecutivo e dovrebbe ridurre l’influenza politica. Il cambiamento deve considerarsi oggi più che mai ineluttabile, la proposta di legge è di iniziativa popolare, segnale importante in un’epoca di profondo individualismo e sfiducia verso le Istituzioni. E di fronte a questo cittadino non più apatico, ci auguriamo che il Legislatore si faccia carico della tenzone (apice di lungo percorso di battaglie) e ritorni ad essere garante della Costituzione.
Una grande responsabilità
Da difendere il potere del Consiglio Superiore della Magistratura
Di Eleonora Bianchi
La magistratura è riconosciuta come ente autonomo e indipendente da ogni altro potere ed il giudice è soggetto solo alla legge. Alla magistratura vengono inoltre riconosciute caratteristiche quali l’inamovibilità e la nomina per concorso.
L’inamovibilità si riconosce nel fatto che i magistrati non possono essere tolti dalla loro carica o sospesi se non dal Consiglio Superiore della Magistratura, il cui presidente è il Presidente della Repubblica. Si tratta di un organo che si occupa di mantenere l’autonomia e l’indipendenza della magistratura, che gestisce le decisioni maggiormente significative riguardo alla carriera e alla professione dei magistrati.
Il fatto di essere eletti per concorso infatti, si identifica nell’inserimento all’interno della magistratura, di figure il cui accesso deve sottostare a determinati requisiti, come laurea in giurisprudenza e conseguente specializzazione. Chiunque acceda alla magistratura deve possedere requisiti di idoneità per il ruolo di seria importanza che andrà a ricoprire. La magistratura è quindi un organo a cui vengono riconosciute grandi responsabilità e viene concesso un grande potere. Concedere tale potere, credo sia davvero importante verso lo Stato. Riconoscere tale potere e concedere autonomia a quest’organo è quindi necessario per gestire situazioni di grande rilevanza. Si tratta di un potere che è concesso secondo criteri e requisiti specifici ed è importante che i magistrati sappiano usufruire adeguatamente dell’autonomia che è loro riconosciuta e dell’inamovibilità concessa loro.
I componenti sono così eletti:
Il Consiglio superiore della Magistratura [cfr. artt. 105, 106 c.3, 107 c.1] è presieduto dal Presidente della Repubblica [cfr. art.].
Ne fanno parte di diritto il primo presidente e il procuratore generale della Corte di Cassazione.
Gli altri componenti sono eletti per due terzi da tutti i magistrati ordinari tra gli appartenenti alle varie categorie, e per un terzo dal Parlamento in seduta comune [cfr. art. 55 c.2] tra professori ordinari di università in materie giuridiche ed avvocati, dopo quindici anni di esercizio.
Il Consiglio elegge un vicepresidente fra i componenti designati dal Parlamento.
I membri elettivi del Consiglio durano in carica quattro anni e non sono immediatamente rieleggibili.
Non possono, finché sono in carica, essere iscritti negli albi professionali, né far parte del Parlamento o di un Consiglio regionale.
Mantenere tale struttura e continuare ad avere un articolo così impostato è importante all’interno della nostra Costituzione e rispetto ad altri che magari andrebbero aggiornati, questo principio dovrebbe essere solamente applicato correttamente, senza supporre che vi siano partecipanti che non ne abbiano l’effettivo diritto e che non siano in grado di essere giudici corretti.
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