Sono più di 70 i muri nel mondo. Basta mattoni e tabù perché abbiamo paura di sapere. Incontriamoci.
Di Nicola Saldutti
C’è una scuola in via Cagnola, a Milano, dove i ragazzi imparano il mestiere del costruire. E fare i muri ne è parte integrante, come gli archi, come posare pavimenti. Ma è intorno al muro che vale la pena ragionare. Quando ai professori della Scuola Professionale d’Arte Muraria (nata alla fine dell’Ottocento) non piacciono, perché storti perché inclinati, perché non realizzati a regola d’arte, invece della classica correzione con la matita blu, parte la ruspa. Che equivale a un voto basso. Eccola la fenomenologia del muro.
La storia e la vita sono piene di barriere. Visibili e invisibili. Fatte di mattoni o di filo spinato o di pregiudizi, paure, fragilità. In un recente articolo sul Corriere della Sera, Danilo Taino, ricorda la frase che Ronald Reagan pronunciò nel 1987 a Berlino Ovest, rivolgendosi al leader dell’allora Unione Sovietica: «Mister Gorbaciov, tiri giù questo muro». Una frase così diretta da rappresentare una svolta per la storia recente, ma un invito che in realtà vale per ciascuno di noi. Partiamo dalle parole «muro», «barriera», «confine»: sono termini del linguaggio geografico o politico (a proposito, di muri nel mondo ormai se ne contano 70), ma in realtà sono termini della vita quotidiana.

E i muri contro i quali ci si ritrova a sbattere possono alzarsi all’improvviso, senza rumore e senza calce, senza pietre. Sono quelli generati dai comportamenti (talvolta inconsapevoli) di chi ritiene che il proprio mondo sia il punto dove inizia e finisce tutto. Se ci pensate le barriere servono ad evitare gli accessi, che qualcuno entri nella tua casa, nel tuo dominio. E invece in realtà, a osservare molti comportamenti, si nota come i muri servano molto di più a non uscire dal proprio territorio. A evitare l’incontro con gli altri, dei quali spesso poco conosciamo. E molto abbiamo timore di sapere. Se ci pensate i muri si possono abbattere o saltare, talvolta aggirare. Qualche volta diventano semplicemente inutili come accadde alla linea Maginot che doveva difendere la Francia dall’assalto di Hitler.
Se pensiamo alle barriere architettoniche, in fondo, sono un grande segno di disattenzione verso gli altri. Come gli scalini troppo alti. C’è un pensatore, Parag Khanna, che dice che nel mondo ci sono oltre 250mila chilometri di confini, ma in realtà se si calcolano i ponti, i cavi sottomarini, le autostrade, l’esatto contrario dei muri, siamo nell’ordine dei milioni di chilometri. Come dire: la vicinanza batte la distanza dieci a zero. Un numero? I cavi internet si sviluppano per qualcosa come 750 milioni di chilometri, nel mondo ci sono 64 milioni di chilometri di autostrade. Ma cosa c’entrano questi dati con la vita quotidiana? È forse la metafora più bella. Hai voglia a costruire muri, le crepe vincono sempre quando il muro divide due cose che non dovrebbero essere divise. La caduta del muro, ora che si festeggia la fine del muro di Berlino, è fatta di nuove consapevolezze, di nuove sensibilità, anche semplicemente di conoscenza. Forse questa è la vera rivoluzione