Di Elisabetta Soglio
«Volevo solo aggiungere una cosa a quello che ti ho detto riguardo ai miei coetanei. Io non credo che siano più immaturi, però credo che spesso non abbiano la consapevolezza di quanto siano fortunati e, piuttosto che affrontare i problemi della vita di tutti i giorni con tutta l’energia che un ventenne può avere, si buttano giù e fanno il muso».
Alessandro era questa cosa qui. Da quando non c’è più mi capita di rileggere i messaggi che mi aveva spedito: questo era arrivato mentre stavo scrivendo il pezzo che gli abbiamo dedicato, con tanto di copertina, su Buone Notizie. In un bar pieno di ragazze e ragazzi vocianti, avevamo parlato dei giovani, i suoi coetanei che hanno l’età dei miei figli. Incontrare Ale, sentirlo riflettere su malattia, vita e morte, me li aveva fatti apparire tutti terribilmente immaturi: gli avevo confessato questo mio giudizio un po’ impietoso e lui ci aveva pensato su un paio di giorni. Poi mi aveva risposto con quell’sms che no, non si tratta di immaturità. Ma di inconsapevolezza. Quando sei giovane pensi di avere la vita in pugno, ti senti invincibile e immortale e quindi tendi a dare meno valore alle cose quotidiane. Ale invece era un ragazzo molto consapevole e questa credo, sia stata la sua forza, perché sicuramente ha vissuto ogni attimo con così tanta intensità che noi inconsapevoli (mi ci metto anch’io, perché quella di non apprezzare la vita come meriterebbe è una malattia anche adulta) ci mettiamo anni. Ale aggrediva la vita, la strapazzava e la voleva spremere tutta per non perdere neppure una goccia di sapore, di amore, di respiro, di speranza, di rabbia, di paura. Ale mi è entrato nel cuore per questo: per il sorriso timido, per il coraggio da guerriero, per l’attitudine a preoccuparsi degli altri. Nei pochi incontri, così intensi, così veri, mi ha raccontato di suo papà «che dormiva per terra nella mia stanza di ospedale per non lasciarmi solo». Di sua mamma «che è forte anche se immagino l’inferno che tiene dentro». Di Arianna «la mia più che amica» (e rideva arrossendo, innamorato cotto). Dei ragazzi del Bullone«che mi hanno dato forza e allegria e che ci sono sempre, sempre». Mi ha raccontato di qualche angoscia e di molte speranze. Mi ha sorriso molto e mi ha fatto pensare. Ora è terribile che non ci sia più, ma in realtà è qui, con Mariella, Sergio, Arianna, con gli amici del Bullone. A tutti loro, a chi ha avuto la fortuna di incontrarlo e anche a me ripete ogni mattina che è una bella giornata, tutta da vivere. Da sorridenti guerrieri.