Aiuto e solitudine a San Vittore. Guardare oltre le sbarre

Autori:

Di Alessandra Parrino e Alessia Piantanida

AIUTO

Di Alessandra Parrino

Quante volte affrontando le battaglie che la vita ci mette di fronte, abbiamo pensato di farcela da soli, di bastare a noi stessi; perchĂ© in fondo qualcosa ci faceva credere di essere invincibili, di essere infiniti. Poi, un gancio ben assestato, e la vita ti mette al tappeto, ti fa toccare il fondo e ti fa capire come, da solo, non puoi andare da nessuna parte. Ed è proprio in quel momento che devi fare i conti con tutto il tuo orgoglio, metterlo a tacere e provare a tendere la mano, verso chi la sua mano te l’ha giĂ  tesa da tempo, e chiedere aiuto. 

In qualunque punto tu sia del tuo percorso, che ti sia stato imposto dagli eventi, che sia stato tu ad averlo scelto, che siano stati altri a scegliere per te, il momento in cui ti accorgi di poter chiedere aiuto è giĂ  un piccolo passo verso l’uscita dal tunnel. 

Quando affrontiamo il dolore con qualcuno al nostro fianco che si prende cura dei nostri passi, è, in un certo senso. piĂą facile. Certo, l’altro non può farci provare meno sofferenza, non può caricarsi in spalla lui i nostri pesi, ma può aiutarci a trovare le forze per rialzarci e continuare a camminare. 

E sapere di aver accanto qualcuno che non ti giudica, non punta il dito contro di te, ma ha sempre pronta una carezza per alleviare il tuo dolore, può davvero essere un motore immenso. 

Foto: Ludovica Sagramoso Sacchetti

C’è questa convinzione che chi chiede aiuto nelle cose o nella vita sia un debole, che si perda quel rispetto acquisito in anni di solitudine e sforzi di resistenza. Ma quando ci si accorge che la vera forza non sta nella solitudine che ci occupa l’anima, ma nel mostrare le nostre debolezze, le nostre ferite, ecco, è proprio durante quei passi incerti che scopriamo quanto davvero possiamo essere dono per gli altri e per noi stessi. Quando troviamo la scintilla che ci fa chiedere aiuto, fosse anche solo per le persone che amiamo ancor prima che per noi stessi, è lì che cresciamo, è da lì che rinasciamo. 

Proprio per questo, alcune battaglie che siano intraprese nella vita, in un ospedale o nella «Nave», impongono l’ardore di riconoscersi finiti e di aver bisogno di altri al nostro fianco per poter affrontare quel male che ci opprime e che non ci lascia vivere come meritiamo di fare. 

SOLITUDINE

Di Alessia Piantanida

Nell’incontro con i ragazzi del carcere di San Vittore sono stati molti i temi toccanti di cui abbiamo discusso, uno di questi mi ha colpito particolarmente: il tema della solitudine. La realtà della malattia che sto vivendo e la vita dei ragazzi in carcere, possono sembrare diverse tra loro, ma in realtà ho potuto notare molti aspetti in comune.

Tra tutti i ragazzi presenti, uno, del quale ricordo solo il viso e la felpa verde con le righe gialle, ha affermato di aver sentito molto la solitudine nel momento in cui nella sua condizione di detenuto, non ha più potuto vedere la sua famiglia e soprattutto suo figlio. In quel momento ha provato al massimo il sentimento della solitudine. Ha confessato però, che all’interno del carcere ha potuto conoscere molte persone che gli sono state vicine nei momenti di difficoltà, creando così una sorta di seconda famiglia sempre presente nel momento del bisogno. Mentre parlava ho visto nei suoi occhi un’enorme tristezza e commozione che mai mi sarei aspettata di trovare. Nelle sue parole mi sono riconosciuta molto. Infatti, appena entrata in ospedale, mi sono sentita in un certo senso «abbandonata», perché passavo tutto il giorno in quel luogo triste senza avere contatti con il mondo esterno.

Foto: Ludovica Sagramoso Sacchetti

Mi mancavano la famiglia, gli amici e la libertà, anche se sapevo che quel percorso sarebbe stato una strada verso la guarigione. Certo, io una volta conclusa la giornata potevo uscire, ma posso assicurare che i primi mesi piangevo tutti i giorni e aspettavo con ansia le quattro, per poter rivedere mia mamma che veniva sempre a prendermi e per tornarmene finalmente a casa. Come il ragazzo dalla felpa verde, anch’io ho avuto una svolta enorme nella mia vita, che mi ha cambiata radicalmente e mi ha spinta verso uno stato di maggiore serenità. Entrare nel gruppo dei B.Livers è stata la scoperta della VITA, la vita vera che ti fa sentire accettato e compreso nello stesso tempo. Anche per me questo gruppo rappresenta una seconda famiglia, un punto di riferimento in cui rifugiarmi quando voglio evadere da tutti i problemi dell’esterno e in cui posso essere me stessa al 100%. Una famiglia che c’è sempre, nei momenti di difficoltà e nei momenti di gioia. Sì, posso proprio dirlo… una famiglia che mi ha salvato la vita.


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