Illustrazione in evidenza di Ahmed Malis
Di Davide Montalenti
– Treno in arrivo per Sesto 1 maggio FS – sto aspettando la metro quando leggo il messaggio: «è che per il giornale per cui lavoro stiamo cercando un ventenne che scriva un pezzo» – Allontanarsi dalla linea gialla di sicurezza – «La rubrica si chiama Milano 2030 e racconta la visione che una determinata persona ha della Milano del futuro». In un tempo non troppo lontano andava di moda fra i miei coetanei di allora, ragazzi delle medie e liceali, minimizzare Milano: meglio la campagna, meglio un paese più piccolo, meglio un’altra città. Non sono mai stato troppo d’accordo, ma sono anni che non sento più questo discorso. Nell’ultimo decennio, Milano ha subito una trasformazione talmente radicale e inaspettata da aver cambiato la nostra percezione della città. I nuovi quartieri Garibaldi e Citylife hanno reso lo skyline di Milano più simile alle grandi capitali europee, la riqualificazione della Darsena ci ha restituito i navigli, l’area C ha reso il centro più a misura d’uomo. – Prossima fermata Porta Venezia– e penso a come vorrei Milano nel 2030.
Indubbiamente il cambiamento è in atto e ne condivido la direzione, ma cosa di concreto mi aspetto? Scendo dal vagone della metropolitana e mi dirigo verso il passante ferroviario. Sono diretto a Porta Vittoria, ma una volta lì non uscirò dalla stazione. Nel lungo corridoio illuminato al neon del mezzanino sopra i binari entro in uno degli spazi che il comune ha destinato a iniziative culturali e associazioni. È un atelier teatrale, io sono un musicista e devo occuparmi degli effetti audio e della colonna sonora di uno spettacolo che andrà in scena a breve. Tutto autoprodotto, siamo in sei compreso il regista, che è anche attore e scrittore. Parla di un futuro distopico nel quale i diversi, i liberi pensanti e quindi gli artisti vengono perseguitati. Vorrei una Milano opposta al copione che stiamo mettendo in scena. Il Comune ha avuto la brillantissima idea di dare in usufrutto gli enormi spazi inutilizzati del passante ferroviario di Porta Vittoria. Sono nati decine di laboratori teatrali, un teatro vero e proprio, laboratori di pittura e scultura, corsi di danza, sale prova. Il tutto in una periferia non particolarmente vivace. Vedo tutti giorni decine di luoghi simili abbandonati al degrado e conosco molti amici che non vedrebbero l’ora di usufruire di uno spazio del genere per inventare il futuro, perché di questo si parla quando si parla di arte.
La sfida delle metropoli del futuro, e spero che Milano possa a tutti gli effetti farne parte, è disegnare una città che non annulli il singolo disumanizzandolo tra la folla, che non accentri tutto in isole di grattacieli avveniristici o nelle mura del centro, per confinare la gran parte della popolazione in dormitori periferici. Quale strumento d’inclusione sociale più potente dell’arte e della cultura, un’arte e una cultura capillarizzata in ogni angolo della città? La sfida è promuovere il fermento artistico, la libera iniziativa dei singoli, e rendere mainstream la musica, il teatro, la poesia. La Scala può apparire distante e distaccata, potrebbe essere più vicino il passante di Porta Vittoria. Sia ben chiaro, tutto questo ad una condizione. Fare l’artista è un lavoro, almeno per chi lo fa seriamente e dedica all’arte la propria vita. E ogni lavoro è tale se consente di portare a casa il pane. Non che gli artisti debbano vivere di sussidi di un qualche ente pubblico, si dovrebbe però agevolarli nella monetizzazione dei loro sforzi. Mi sono scontrato un paio di anni fa con i consigli di zona milanesi, i quali dispongono di innumerevoli auditorium e spazi multiuso. Possono essere affittati solo a fini non di lucro.

Posso organizzare un concerto solo se l’ingresso è gratuito, ci sarà un rimborso per le spese, e anche un piccolo compenso per gli artisti, ma il pubblico non pagherà il biglietto. No, grazie. Il problema è la mentalità. L’arte in Italia è da molto tempo considerata un vezzo inutile dall’opinione pubblica. Alla frase «faccio il pianista» spesso segue la risposta «ah, bellissimo. E di lavoro cosa fai invece?». Come possiamo cambiare la mentalità dell’uomo comune, se le stesse istituzioni non riconoscono il valore, anche economico dell’arte? Spero che nel 2030 cinque euro per un concerto non siano troppi né per il pubblico, né soprattutto per le istituzioni. Ha parlato il ventenne artista, una postilla del ventenne cittadino. Sono un ventitreenne milanese senza patente, e non sono l’unico. Si può giustificare come una scelta ecologica, io provoco sostenendo che nel 2019, ancora più nel 2030, spostarsi in città con un’auto, magari di proprietà, sia attuale come girare in calesse. Mi correggo, sarebbe più attuale il calesse, e propongo più aiuole e zone verdi per la sosta e il rifornimento dei cavalli. Nel 2030 sogno cavalli cibernetici che viaggino a 80 km/h, sfrecciando sopra ai grattacieli. Sogno una città con un quinto delle auto circolanti e tre volte il trasporto pubblico attuale. Una rete di trasporti capillare che colleghi con continuità l’hinterland con la metropoli, e metropolitane che funzionino giorno e notte. La prova per lo spettacolo è finita, saluto il regista e gli altri attori. Sono le 23.30 e sono a Porta Vittoria, corro per non perdere l’ultima metro verso casa.