Do You B.LIVE in Poetry? Il GRAZIE delle ragazze ai poeti D’Addino, Gaggianesi e Savogin

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Foto di Stefania Spadoni

GRAZIE A LUCA D’ADDINO

Di Giada De Marchi

Premessa: non sarà per niente facile descrivere il turbine di emozioni in cui sono stata coinvolta durante questo progetto. È iniziato tutto da un incontro, dove delle menti brillanti si sono messe insieme per elaborare qualcosa di affascinante, poesie. Io mi sono subito trovata con Luca, nel momento esatto in cui ha raccontato chi era, ho capito che insieme avremmo tirato fuori qualcosa di pazzesco. Così feci qualcosa che non faccio da tanto, tanto tempo, presi un taccuino e iniziai a scrivere senza sosta: finalmente qualcosa e qualcuno erano riusciti a sbloccarmi.

Luca D’Addino durante l’esibizione di Do You B.LIVE in Poetry? a La Triennale di Milano

Nel fiume di parole che ho buttato giù, abbiamo deciso di affrontare il tema del cancro, ma io non volevo fosse qualcosa di super triste o super positivo, volevo raccontare. Per mia fortuna quel genio di Luca scrive benissimo in metrica, ed è riuscito a creare un personaggio, una storia e anche a raccontare della malattia sia il lato positivo che quello negativo.Sono più che felice e onorata di aver lavorato coi ragazzi di Generazione Disagio e Luca, perché ho potuto, finalmente, esprimere qualcosa che tenevo dentro da tempo. L’emozione di salire sul palco, il poter raccontare quello che volevo sentire, il supporto ricevuto dai ragazzi, le risate. Sono infinitamente grata per tutto questo, perché quando iniziai questo progetto avevo bisogno di fare ordine rispetto a molte cose, e questa «magia» me l’ha insegnata Luca. Grazie Luca per avermi insegnato a mettere ordine con le parole, frammenti di vita, grazie ragazzi per avermi accolta in questa realtà che non finirà mai di stupirmi.

GRAZIE A DANIELE GAGGIANESI

Di Debora Zanni

Non è stato facile condividere una storia, la mia storia, perché è un segreto che tengo e condivido solo con chi ho piacere di farlo. È qualcosa di talmente delicato che non mi piacerebbe lo sapessero tutti: penso che perderebbe il suo valore. La gente inizierebbe a cambiare il suo sguardo nei miei confronti. Sguardo. Qui è intervenuto Daniele. Abbiamo condiviso le nostre storie, le nostre esperienze e ci siamo confrontati su come raccontare la mia storia, la mia paura, le nostre sensazioni. Un monologo o un discorso. Ci sarò solo io sul palco o entrambi? Libertà totale nelle decisioni.

Daniele Gaggianesi e Debora Zanni durante l’esibizione di Do You B.LIVE in Poetry? a La Triennale di Milano

Abbiamo provato a scrivere i pensieri che nascevano spontanei nel guardarci negli occhi. Una descrizione, una frase, anche solo una parola. Ci siamo messi in gioco per raccontare con semplicità e leggerezza, una storia profonda e fiabesca e le paure persistenti. Daniele è riuscito a creare un discorso «soffice» (mi viene istintivo dire così), e apparentemente senza senso logico, ma estremamente chiaro. È stato importante per me riuscire a tirare fuori la piccola guerriera ancora spaventata che ho dentro, perché ora lei sta riponendo il timore e si sta armando di parole: «ora più voglia di continuare».

GRAZIE A SIMONE SAVOGIN

Di Laura Tasto e Oriana Gullone

Quando il virus dell’HIV diventa una vagina bionica e bellissima. Un incontro voluto quello tra noi e Simone Savogin, una mente folle che ragiona fuori da qualsiasi schema, un ascolto che non parte dalle orecchie, ma dal cuore. Un’esperienza indimenticabile come lo sono i suoi abbracci. È riuscito a prendere la mia storia piena di rabbia e vergogna e trasformarla in un pregio invidiabile. Un titolo, un urlo, uno slogan: «Ho un’Incredibile Vagina». Andando ad eliminare le lettere in minuscolo quello che ne rimane è la sigla «HIV», che si legge chiaramente sia sulla maglietta di Oriana, che coraggiosamente ha interpretato in maniera magistrale sul palco, e sul cartellone che compare alla fine dell’esibizione.

Simone Savogin e Oriana Gullone durante l’esibizione di Do You B.LIVE in Poetry? a La Triennale di Milano

L’incredulità e la commozione che ci hanno accompagnate la prima volta che abbiamo letto il testo, sono state le stesse che ha provato il pubblico ascoltando una testimonianza inedita come quella di una ragazza nata con il virus. Aprirsi con uno sconosciuto, raccontargli una storia, la tua, piena di emozioni contrastanti, non è facile, ma con Simone è stato come parlare ad un amico caro. Si è percepito da subito, da parte sua, un genuino interesse nel conoscerci. Come un’aura invisibile che si espande dell’aria, così sono la sua energia e il suo affetto. Due occhi che sorridono, che lo fanno davvero, che sono andati oltre lo sguardo sfuggente che avevo la prima volta che ci siamo incontrati.  Per la prima volta non mi sentivo a disagio, per la prima volta non me ne vergognavo. La mia storia lanciata dal palco senza un freno, eppure, non ci sono stati sguardi imbarazzanti, non c’è stato rifiuto, solo risate e comprensione. Oggi, grazie a Simone, sono fiera (come tutti coloro che erano in quella stanza) di urlare a squarciagola: «Ho un’Incredibile Vagina».

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