Intervista ad Hazel Koyuncuer – Odio o democrazia. La comunità curda può essere d’esempio

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Foto in evidenza: Hazel Koyuncuer nella redazione de Il Bullone (Foto: Stefania Spadoni)

Di Emanuela Niada

Intervista di B.LIVE ad Hazel Koyuncuer, attivista curda che vive a Milano.  

Che cosa pensi dell’odio, tu che hai dovuto scappare dalla tua terra?

 «L’odio è un sentimento che non mi appartiene. È il potere di dominare l’altro. La mia famiglia l’ha subito nei campi profughi. Mio padre non ha mai portato odio. È stato arrestato quando ha dato a me e a mia sorella due nomi curdi, vietati in Turchia. Per la sua attività politica è stato duramente torturato nelle disumane carceri turche. Mi ha insegnato che l’odio è creato per avere il potere del controllo. Chi ha coscienza di sé e capacità di autoanalisi, non ha bisogno di odiare. Io mi considero adesso una curda di Milano, dove posso esprimermi liberamente per spiegare al mondo che combattiamo per mantenere l’identità culturale. Per eliminare un popolo, i governi gli impediscono di usare la lingua, così l’identità si disfa. È la differenza tra integrazione, in cui permangono usi e costumi, e assimilazione, in cui tutto viene cancellato. Abbiamo dovuto lasciare il nostro villaggio, completamente distrutto, e fuggire in Europa. Il nostro obiettivo non è ottenere una terra per noi curdi (Kurdistan), ma per tutti gli attuali gruppi etnici (armeni, assiri, yaziri, arabi, turcomanni) che convivono da sempre». 

 Chi sono i curdi e che ruolo hanno le donne?

 «I curdi sono un gruppo etnico iranico originario dell’Asia occidentale, il quarto più grande del Medio Oriente dopo arabi, persiani, turchi. Alla sconfitta dell’Impero Ottomano, gli alleati occidentali nel 1920 col Trattato di Sèvres, avevano previsto uno Stato curdo, mai nato. Il riconoscimento delle minoranze curde ha portato a ben 77 genocidi, i più recenti sotto lo Scià di Persia e nell’Iraq di Saddam Hussein con l’attacco chimico. In Turchia vivono 2 milioni di curdi. Nel 2014, dopo la caduta di Mosul e Raqqa, i curdi per primi si opposero all’avanzata dell’Isis e le donne combatterono con lo slogan “Libertà o morte”, per opporsi alla repressione maschile e alla violenza domestica in una società feudale e patriarcale». 

Che cos’è il Confederalismo democratico? E l’ecologia sociale?

«È un’organizzazione politica senza Stato, una democrazia che parte dal basso, unisce differenti etnie e lotta per l’uguaglianza e l’emancipazione femminile. Insieme all’ecologia sociale (teorizzata dal filosofo Murray Bookchin) è da 8 anni il modello organizzativo della regione autonoma del Rojava, a Nord e Nord-Est della Siria, dove vivono 4,5 milioni di persone. Non esiste proprietà privata, ci si organizza in cooperative. 900 parlamentari decidono insieme un decreto e la legge passa sul territorio nazionale, solo se i cittadini di tutte le etnie approvano la normativa. C’è un consiglio formato da 7 donne, a rotazione, che vigilano affinché non avvengano discriminazioni di genere. Il sistema co-presidenziale prevede un uomo e una donna in tutte le organizzazioni, per la parità. I maschi curdi stanno iniziando a distruggere il concetto di patriarcato dentro di loro, come auspicava Ocalan, il fondatore del PKK (partito dei lavoratori curdi), detenuto in carcere dal ‘99. Ormai le donne sono presenti in tutte le assemblee dove portano avanti i propri diritti e opinioni. Mentre a Raqqa, la roccaforte dell’Isis che siamo riusciti a liberare con le nostre milizie YPG, le donne non hanno voluto togliersi il burqa, per paura. Lì sarà un processo lento. Devono capire che la religione è una fede, non uno strumento in mano a pochi fanatici. L’Isis afferma che un uomo può avere 7 donne, ma nel Corano è scritto che basta una sola moglie, perché non se ne può mantenere di più. L’ecologia sociale è un approccio ricostruttivo, ecologico, comunitario ed etico per contrastare lo sfruttamento della terra e delle persone col massimo profitto a tutti i costi. Mi sento obbligata, in coscienza, ad aiutare lo sviluppo della nostra società, analizzando nuove teorie. Se tornassi, verrei arrestata. Vivo qui da molti anni e ora giro l’Italia per difendere i diritti di tutti i migranti. Le comunità internazionali dovrebbero apprezzare che le abbiamo liberate dall’Isis, riportando la pace. L’Europa, preoccupata dalla minaccia del terrorismo, non è intervenuta. Stati Uniti, Russia e Cina hanno interessi economici. Le ragazze curde vogliono cambiare la loro società arretrata col sostegno dei popoli del mondo. In tanti Paesi i cittadini hanno manifestato per sostenerci. In Italia, dove vivono 4000 curdi, 86 manifestazioni hanno sostenuto l’autonomia della Regione di Rojava. A Milano, in cui abitano 2000 curdi, 5000 persone ci hanno espresso solidarietà. In Iran, Iraq, Libano e Afghanistan nella mobilitazione le donne sono in prima linea. Ma la vera rivoluzione la faranno gli uomini, eliminando gli effetti del patriarcato dentro a se stessi, nel rispetto della donna. Ora stiamo organizzando un flash mob di sensibilizzazione alla nostra causa, davanti alla Scala».

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