Di Chiara Malinverno
Negli ultimi mesi odio e social sembrano un binomio inscindibile. Ogni giorno centinaia di commenti sessisti, razzisti, omofobi e xenofobi invadono i social network, tanto da spingere il patron di Facebook, sempre restio ad ogni ingerenza normativa sul web, a chiedere aiuto ai governi, auspicando l’adozione di norme più rigide per la diffusione di contenuti online. Parlando di norme una domanda è lecita.
Servono davvero delle leggi per regolare un fenomeno sociale come l’odio? Stando a quanto dicono sociologi e psicologi, l’odio non è altro che un sentimento. Come tutti i sentimenti è connaturato nell’uomo, allora com’è possibile regolamentarlo? Vi immaginereste mai una norma che regoli l’amore, la felicità o la tristezza? Per non cadere nell’assurdo, forse dovremmo smettere di pensare all’odio come a un sentimento, ma a una vera e propria arma di offesa. Adottando questo punto di vista, il discorso d’odio non è più l’espressione di un sentire, ma un’opportunità per ferire. D’altra parte che le parole possano creare danno è scontato, bisogna quindi porsi una successiva domanda. È lecito impedire di parlare perché ciò che si dice può far male? Quando la Francia ha iniziato ad abbozzare il primo progetto di legge contro l’odio online, il Relatore speciale delle Nazioni Unite per la promozione e tutela della libertà di parola, David Kaye, si è detto preoccupato per l’iniziativa, in quanto temeva a una forma di censura. I dubbi di David Kaye non erano del tutto infondati. La legge francese, oggi approvata, prevede la rimozione di contenuti offensivi entro 24 ore dalla loro pubblicazione da parte dei gestori delle piattaforme che, qualora non rispettino l’obbligo, possono essere condannati a una pena pecuniaria pari al 4% del loro fatturato annuo.
La previsione di un obbligo così stringente, pone dei problemi in merito alla sua affidabilità. Rimuovere migliaia di contenuti offensivi in meno di 24 ore significa affidare il controllo a un’intelligenza artificiale, con la possibilità che essa sbagli. Un altro aspetto è proprio legato alla diffusione del fenomeno. Al fianco dell’eventuale sanzione nei confronti del social network, molti auspicano una sanzione penale per il singolo che diffonde contenuti d’odio. Questo, in concreto, può voler dire che ogni giorno migliaia di persone dovrebbero essere sottoposte ad azione penale, cosa che risulta irrealistica, come del resto già dimostrato dall’inefficace legge sul cyberbullismo. Una volta espressi i dubbi circa l’utilità di una legge, sicuramente non possiamo rimanere a guardare.
Secondo quanto riporta la Mappa dell’intolleranza, ideata da Vox Osservatorio italiano sui diritti, che analizza fra l’altro la diffusione di odio online, fra marzo e maggio 2019 vi sono stati 50mila tweet d’odio contro i migranti, 39mila contro le donne, 22mila contro i musulmani, 17mila contro i disabili, 15mila contro gli ebrei e 8mila contro gli omosessuali, per un totale di più di 150mila tweet d’odio. I dati, già allarmanti, destano ancor più preoccupazione quando si analizzano i cosiddetti picchi di odio, ossia i giorni in cui la diffusione di tweet negativi è stata maggiore, in concomitanza della diffusione di notizie implicanti le persone sopra menzionate. Un esempio è ciò che è accaduto il 12 aprile 2019. A seguito della notizia della condanna di un giovane a 7 anni di carcere per uno stupro ai danni di una ragazza disabile, il web ha risposto con oltre mille commenti insultanti nei confronti dei disabili. Ci saremmo aspettati solidarietà e invece la risposta è stata odio puro, gratuito ed inspiegabile. Episodi come questo sicuramente non possono non suscitare domande e spingere il legislatore ad adottare misure contenitive e coercitive. La legge però non può tutto, che siano altre le strade da prendere?