Intervista Impossibile a Giorgio Faletti

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Di Stefania Spadoni

Non andavo il sabato pomeriggio ad Asti, che è la mia città natale, da tanto tempo. Giorgio abita in centro e per arrivare trovo il trambusto del mercato comunale. All’ultimo piano di un palazzo molto austero la casa di Giorgio e Roberta mi accoglie piena di bellezza, quadri, libri, moltissime chitarre e una vespa customizzata da Ugo Nespolo e parcheggiata in salotto.

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«Forse possiamo cambiarla ma è l’unica che c’è. Questa vita di stracci e sorrisi e di mezze parole». Se devo pensare a un modo per rispettare questo verso della tua canzone Signor tenente, non mi viene in mente nulla di meglio che la tua vita. Per descriverla con un aggettivo: poliedrica. La comicità prima, la musica, la letteratura, il teatro, il cinema…

«Sono sempre stato molto timido e lavorare nell’ambito artistico è il mio tentativo di abbattere questo blocco. Sono un insicuro e sempre alla ricerca di conferme. La poliedricità arriva dall’esigenza di comunicare il mio mondo interiore e, semplicemente, quando capivo che il mezzo che mi permetteva di esprimermi si era esaurito, cambiavo forma. Ho usato la comicità per raccontare il mio mondo nell’adolescenza e nella prima età adulta, quello della città di provincia, con i suoi personaggi, come Vito Catozzo. Poi attraverso la canzone ho iniziato a comunicare emozioni più intimistiche o situazioni che mi avevano particolarmente colpito, come il periodo delle stragi che riguardava in prima persona molti miei amici che lavoravano nelle Forze dell’Ordine. Ad esempio Signor tenente era la sintesi di sentimenti come l’ansia, la paura e soprattutto la volontà di compiere il proprio dovere. In quel periodo mi ruppi una gamba e dovetti rimanere fermo più di un mese, è lì che ho cominciato a suonare. Ho sempre provato a rimettermi in gioco, la sfida di nuove avventure mi ha sempre affascinato e amavo spiazzare il mio pubblico».

In una tua intervista dichiari che una parola chiave del tuo lavoro è «attesa» e rendi benissimo l’idea del mestiere dell’artista con quest’immagine: una stazione ferroviaria, un uomo che deve aspettare un treno di cui non si conosce l’orario. Se non rimane lì e lascia la stazione, sul treno non ci salirà mai. Come ha pesato questa cosa nella tua vita?

«Direi in maniera importante, anche perché non mi sono mai fatto ingolosire dalle “proposte faciliHo detto no ad alcune collaborazioni, soprattutto in ambito cinematografico. Accettavo quando la proposta mi stuzzicava e sentivo che era una cosa giusta per me. Ho atteso e così sono arrivate proposte come Notte prima degli esami che pur essendo una scommessa, con un regista agli esordi e attori giovani, mi dava la sicurezza di dire di sì, anche perché mi appassionava l’idea di potermi confrontare coi giovani, ascoltarli e magari dar loro dei consigli. L’attesa a volte mi è servita per raccogliere le idee e non mi ha mai spaventato».

A volte i grandi comici sono persone buie, l’opposto di quello che incarnano sul palcoscenico. Tu sei stato Vito Catozzo per molto tempo, la comicità fa parte della tua vita privata?

«I vari personaggi che ho affrontato nella mia carriera erano interpretazioni. Quando sul palco c’era Vito Catozzo, io diventavo Vito Catozzo. Ho sempre voluto circondarmi di allegria e gioia nella mia vita privata, è la mia natura. Quando invito i miei amici a cena è un vero e proprio show e spesso appare Vito Catozzo, magari in una veste anche più spinta, quella che non è consentita in televisione. Regalare una risata è un dono grandissimo che un essere umano può fare a un altro essere umano».

Ti manca stare sul palcoscenico e interpretare un ruolo? 

«Mi mancano il contatto diretto col pubblico, le risate, gli applausi, ma anche quando presento un libro lo trasformo in uno show, con piccole chicche del passato».

Giorgio Faletti interpretato da Max Ramezzana

Hai sempre scritto: dai copioni teatrali, ai testi delle canzoni, ma scrivere un romanzo è molto diverso. Cosa ti ha spinto a intraprendere quest’avventura impegnativa e ad iniziare a scrivere Io uccido?

«Prima del Giorgio scrittore esiste il Giorgio lettore. Ho sempre letto moltissimo e negli ultimi anni mi sono appassionato alla letteratura thriller americana. In quel periodo passavo molto tempo a casa, complici anche dei problemi di salute e quindi iniziai a pensare a un progetto corposo come quello di un romanzo, che necessita di tempo e concentrazione. Avevo in mente una trama e un titolo molto forte e pensavo potesse funzionare; quindi scrissi il libro che avrei avuto voglia di leggere in quel momento». 

Che tipo di scrittore sei? 

«Molto determinato e metodico. Scrivo la mattina, tutte le mattine, fino a orario di pranzo. Poi nel pomeriggio cerco di staccare un po’ la testa, magari suonando, la sera rileggo quello che ho scritto e lo faccio leggere a Roberta, mia moglie e ne discuto con lei. Ho bisogno di questo confronto perché lavoro molto per immagini e i miei romanzi sono molto descrittivi, ma il rischio è che avendo tutto molto chiaro in testa, nella stesura potrei saltare dei passaggi utili al lettore per la comprensione della storia».

Un comico e un cantante che all’improvviso diventa uno scrittore e ha un successo incredibile. A molti non deve essere andata giù, ci sono state critiche e illazioni che magari ti hanno toccato. Come hai reagito a questo? 

«Male, la mia insicurezza e il mio bisogno di conferme sono tornati a galla. Questa cosa mi ha ferito. Ho dimostrato di essere un’artista in tanti ambiti, avevo scritto testi per Branduardi, per Mina, per Milva e mi chiedevo perché le persone non credessero alla mia capacità di farlo. Ho cercato di smontare questo pensiero attraverso un’analisi logica, dimostrando le mie competenze e raccontando di come io mi sono calato nelle realtà che descrivevo, vivendo nei luoghi, entrando nella vita della gente del posto, imparando il loro linguaggio, entrando in contatto con le abitudini». 

Dove sta bene Giorgio? Asti? Isola d’Elba? L’America?

«Più che altro prendo ispirazione dai posti in cui sono nato e vissuto. L’Isola d’Elba è il mio posto preferito per scrivere, è la giusta dimensione.

Dietro a un grande uomo c’è una grande donna. Cosa ne pensi?

«Gli artisti hanno per natura un ego molto sviluppato, non potrebbe essere altrimenti. Mia moglie è stata al mio fianco con sensibilità e intelligenza e con la consapevolezza di avere un ruolo molto importante, è stata la mia spalla e mi ha sollevato dalle incombenze. Quando vado agli eventi senza di lei mi chiedono sempre: “dov’è Roberta?”».

Hai avuto un ictus dopo Io uccido. Questo inciampo ti ha cambiato e qual è il tuo rapporto con la paura?

«Ha cambiato il mio approccio alla vita. Ho smesso di indugiare, di essere pigro. E mi sono detto che un uomo non può sapere quanto tempo gli resta da vivere, ma qualsiasi sia questo tempo concesso, io voglio viverlo al meglio delle mie possibilità… Ah, mi sono fatto anche un regalo: ho inciso un doppio album». 

Puoi immaginarti fare altro che non sia l’artista?

«Forse l’avvocato, farei delle arringhe memorabili, dei piccoli show».

Qual è la tua prossima sfida?

«Vorrei fare il regista teatrale. E mi piacerebbe che un mio libro diventasse un film, ma sento che questo film uscirà postumo».

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