Di Ilike Furesz
Sono quattro i messaggi, inviati al Bullone, e le azioni essenziali proposte dalla professoressa Ilaria Capua, una delle scienziate italiane più conosciute al mondo per le sue scoperte sui virus, dal suo ufficio alla University of Florida, in Gainesville, Stati Uniti, dove dirige il One Health Center of Excellence.
- La potenza dell’intelligenza umana che ci fa homo sapiens, diversi dagli altri animali, va impiegata per combattere il dolore fisico e mentale delle persone. Ma anche per opporsi al fango scagliato addosso, alle ingiustizie subite, trasformandoli in opportunità di resurrezione individuale e collettiva.
- Bisogna far crescere la fiducia nella ricerca, nella condivisione permanente di dati e scoperte scientifiche, la leva fondamentale per continuare a salvaguardare il nostro pianeta e difenderlo dai nuovi virus letali. Ma anche per liberarlo dai pregiudizi e dalle discriminazioni di genere, di etnia, considerando l’umanità come un’unica entità ambientale, di uomini e animali, che condivide la stessa origine e lo stesso destino.
- Un invito va lanciato ai giovani, in particolare alle ragazze, perché esprimano senza timidezza, anche nella scienza, i propri talenti, come hanno fatto le ricercatrici dell’Istituto Spallanzani di Roma, che hanno isolato il nuovo Corona virus.
- È necessario intensificare una campagna di sensibilizzazione verso la conoscenza scientifica, per esempio diffondendoil video tutto italiano «Beautiful Science», che vuole avvicinare le persone alla scienza, con il contributo musicale di «Vivo per lei», una delle canzoni più famose di Andrea Bocelli, cantata insieme a Giorgia.
(#BeautifulScience https://www.youtube.com/watch?v=CauWbGa0Dok
OH-OUCH Grand Challenge https://onehealth.ifas.ufl.edu/beautifulscience/
Ilaria Capua, 53 anni, sposata, una figlia quindicenne, la prima donna a ricevere il premio Penn Vet World Leadership Award, entrata nell’elenco dei cinquanta scienziati più importanti al mondo della Scientific American, è stata vilmente ferita, ma niente affatto domata, dal tritacarne della macchina mediatico-giudiziaria made in Italy.
Quattro anni fa è stata costretta a trasferire professione e famiglia in America per proteggerli da accuse infamanti e senza senso dalle quali è stata completamente scagionata. Nonostante tutto ciò, la virologa continua a mantenere la promessa fatta alla vigilia della sua partenza: «vado a fare quello che so fare meglio in America, ma terrò sempre lo sguardo rivolto all’Italia», dove torna spesso per conferenze e collaborazioni scientifiche, e in particolare in queste settimane, ci sta aiutando a capire e a combattere il nuovo coronavirus.
Il nostro Paese non l’ha trattata bene, professoressa Capua. Come ha fatto a resistere, ad andare avanti, a mantenere lo sguardo rivolto al futuro?
«Nella vita accadono fatti che, come è successo a me, non avresti mai previsto e che ti sconvolgono. Nella salute, nel lavoro, nella famiglia. Ma queste difficoltà sono anche opportunità per ricominciare. Quindi credo che questa sia poi la chiave di reazione: non comportarsi con il cervello rettiliano, cioè quella parte più antica del cervello che risponde allo stimolo del coccodrillo che, sentendosi minacciato, morde qualunque cosa. Se ci comportiamo così, non ci meritiamo l’appellativo di sapiens, mentre secondo me bisogna trovare la forza, per quanto sia difficile e faticoso, per riprendere in mano la propria vita, come ho tentato di fare io. Il messaggio che vorrei trasmettere è che chi incontra grosse sfide che riguardano la salute, deve cercare di continuare a guardare avanti insieme a famiglia, amici e associazioni di sostegno».
Manca in Italia un sistema forte che valorizzi il ricercatore, l’esperto, che purtroppo non viene ascoltato quasi mai da nessuno.
«Io so che in Italia ci sono tanti bravi ricercatori e sono riuscita a mettere in piedi un gruppo che oggi è laboratorio di referenze europeo. Ci sono ragazzi eccezionali, conosco il gruppo dei ricercatori dello Spallanzani da molti anni, così come conosco molti altri gruppi di eccellenza. Il motivo per cui cerco di essere presente quando credo di poter dare un contributo, è appunto perché io nell’Italia ho sempre creduto, e non sono mai voluta andare via fino a quando non sono stata costretta. Il legame di affetto che ho con il mio Paese è immutato e le mie vicende personali non hanno mai interferito con le persone e con il sistema Paese».
Sulla battaglia contro i virus, sul COVID-19, lei ripete spesso che alle persone bisogna sempre dire la verità. Ci hanno detto la verità finora?
«I cinesi stanno facendo del loro meglio (come i giapponesi dopo Fukushima, e i Sovietici dopo Chernobyl), mettendo in atto delle misure di quarantena, ovviamente per limitare il contagio al loro interno, ma anche per dare tempo a tutti gli altri cinesi e abitanti del mondo intero di organizzarsi, dando spazio per contenere il contagio. Questa è la prima volta in cui c’è stata una condivisione efficacissima delle informazioni. E questa è la vera grande rivoluzione. Lo so che ci sono opinioni diverse su come si è comportata la Cina. Ho vissuto però, altre situazioni analoghe e le posso dire che i primi momenti dell’insorgere di una nuova malattia sono molto difficili da comprendere e i medici cinesi hanno necessariamente impiegato del tempo per capire che c’era qualcosa di diverso, di nuovo, nei pazienti che avevano davanti».
Lei pensa che questa pandemia sarà utile per ristabilire il primato della scienza rispetto a tutto il disprezzo diffuso in questi anni?
«Mi auguro che questa situazione possa farci riflettere sul fatto che l’umanità, in parte, ha alterato l’ecosistema e che ci sono costi da pagare in seguito ad atteggiamenti negativi di rifiuto o di manipolazione della realtà. Il virus doveva rimanere a circolare in una colonia di pipistrelli in Cina, non doveva uscire e infettare una persona. Noi abbiamo avuto negli ultimi 20 anni tre Corona virus, la SARS, l’influenza suina, Ebola. Nessuna di queste ha decollato, tranne l’influenza suina che era un virus influenzale».
Si dimostra quindi la sua teoria della salute circolare, la sua campagna mondiale per affermare che siamo parte di un unico sistema, noi umani, gli animali e le piante.
«Sì, è chiaro che tutto è interconnesso. Le faccio un esempio in sintesi: l’epidemia di Ebola del 2014 si è verificata in Guinea perché avevano deforestato per piantare dei palmeti. I pipistrelli che stavano dentro la foresta si sono trasferiti nei palmeti dove non erano minacciati da predatori. Quindi gli uomini che andavano a raccogliere i frutti del palmeto, oltre ai frutti portavano a casa anche i pipistrelli e li davano da cucinare alle mogli. Una donna incinta si è infettata. Le hanno praticato il taglio cesareo: medici ed ostetriche sono stati contagiati. Queste connessioni tra ambiente e salute vanno esaminate e occorre valutare come impedire rotture di un sistema il cui equilibrio va mantenuto per salvaguardare la salute di tutti. Le deforestazioni sono molto pericolose e possono produrre eventi catastrofici».
Lei ha sempre incitato le giovani generazioni, in particolare le ragazze, a non avere paura del proprio talento.
«Io credo che le donne debbano muoversi e chiamare a voce alta il riconoscimento del proprio talento, senza timidezze. In America il tema della diversità è molto sentito e io cerco di lavorare, qui all’Università della Florida, per restituire ai giovani ricercatori quello che so fare per favorire questo avanzamento. Abbiamo lanciato un’iniziativa che si chiama S.H.E. Talks, Sharing Human Experiences. Si tratta di una serie di seminari di mentorship per ragazze più giovani da parte di donne con un’esperienza accademica matura. Io stessa mi impegno molto come mentore di vari studenti durante il loro dottorato e oltre».
Lei ha detto che se riuscisse a sedersi a un tavolo con il presidente Trump, cercherebbe di convincerlo della necessità di affrontare il cambiamento climatico.
«Oltre al cambiamento climatico, mi piacerebbe parlargli anche di tante altre cose. Esempio: l’uso di insetticidi in Florida per controllare le zanzare, ma che uccidono anche le api, le farfalle e tanti altri insetti. Poi c’è l’enorme problema da affrontare della resistenza agli antibiotici e dei medicinali scaduti o comunque buttati, che vanno a finire direttamente nella spazzatura indifferenziata. In generale, l’impegno per essere convincente non mi manca, ma bisogna vedere se dall’altra parte c’è la disponibilità a lasciarsi convincere».