Di Federica Colombo
«Non so come faccia tu a non mollare mai!». Quello che ho imparato in otto anni da sopravvissuta al cancro.
Cosa succede quando ti stanchi di lottare.
Oltre lo scontato concetto di Resilienza.
Mega Spoiler: Non succede niente.
Così domani sono otto anni che sopporto questo gran pezzo di titanio al posto del ginocchio. Oggi, proprio oggi, in una sterile stanzetta mi spiegavano l’intervento, qualcosa di molto più cruento di quanto potessi immaginare. Non avrei più potuto pattinare sul ghiaccio, ed era questo che più mi turbava, allora. Che differenza faceva, non avevo così paura, gli anestesisti avevano previsto degli ansiolitici per prepararmi all’intervento. A me non servivano, ero invincibile no? Quando ti curi attivamente, ciclo di chemio dopo ciclo, medici, analisi, paura non ne hai perché in fondo sono rotaie che corrono parallele verso la fine delle terapie. I volontari e i lavoretti ti proteggono dalla signora grigia che ogni giorno visitava uno dei tuoi compagni di viaggio. Questo però da piccola, non si vede.
Così come quando torni a scuola, pelata ma orgogliosa. La tua battaglia l’hai finita.
Come fai ad essere così forte? Sì, sei forte e ancora ci credi. Poi succede, il tempo passa, i tuoi amici dell’ospedale se ne vanno, uno dopo l’altro. E allora forse non ci credi più così tanto. Alla fine non ti resta che promettere che vivrai anche per loro. Ti carichi sulle spalle la loro gioia di vivere, inghiottita da una morte infame.
Come fai ad essere così forte? In qualche modo si fa, siamo fortunati. Poi inizia la conta dei danni, ognuno dei tuoi organi funziona un pochino meno degli altri. Quanti sanno dei problemi riproduttivi? Chi ti ha detto delle disfunzioni respiratorie? Pazienza, sei vivo. Così ingoi un altro rospo, rossa di rabbia. Non ti avevano avvisato, ed è difficile da mandare giù. Ma sei viva.
Come fai ad essere così forte? Sono forte perché vivo per loro, perché l’ho promesso. Poi un giorno ti guardi allo specchio, sono passati degli anni. I tuoi amici se ne sono andati, ma nello specchio ci sei tu. Perché? Che cosa avevi in più di loro? Non c’è una risposta e può darsi che invece la tua testa ti dica che non è giusto che tu sia viva. Inizia il senso di colpa, il verme nella mela della rabbia.
Come fai ad essere così forte? Perché ho deciso di dedicare la mia vita a curare gli altri. Quindi inizi medicina. Odi te stessa perché sei viva, odi gli altri perché vanno a pattinare sul ghiaccio, mentre tu crepi di dolore in quel ginocchio. Odi la tua incapacità di godere della tua vita, perché stai male. Sei inadempiente con la promessa che hai fatto ai tuoi amici, non sei capace di godere abbastanza la vita. Fallisci il primo esame, i successivi diventano uno strazio. Quindi nemmeno riesci a dedicare la vita agli altri?
Come fai ad essere così forte? Sorridi, perché sui giornali i malati di cancro sorridono, sono forti. Tu però sei una tempesta, sei acido muriatico, sei il dolore più profondo annegato nei farmaci che solo per poco ti fanno stare meglio, che ti tolgono quel peso di dosso, che stai facendo? Ti fai del male così? Stai tradendo i tuoi amici? Perché la società non lo vede e non lo dice, noi ragazzi sopravvissuti stiamo male a volte, ci è però concesso meno di altri di sentirci peggio, perché il più grosso dono dalla vita lo hai avuto già ed è la tua vita. Quella che non sopporti più, che ti soffoca.
Come fai ad essere così forte? Sopravvivo. Cosa dovrei fare?
Arriva il momento in cui smetti di soffrire. Prima o poi si cede.
All’inizio non ci credi, non avviene per tutti allo stesso modo. C’è chi torna a respirare con un’attività collaterale, un hobby. C’è chi incontra l’amore. C’è chi trova un lavoro. Io l’ho fatto piombando nel nero totale, credetemi, crollare fa male, solo così però puoi tornare poi a respirare. Vorrei che tutti coloro che si trovano nello stadio del «sopravvivo», sapessero che non necessariamente si deve passare dal peggiore degli stati per andare oltre. Vorrei che tutti i ragazzi che vivono quello che ho passato io, sapessero che non sono soli, nessuno è solo. Che stare male va bene. Che non devono ridere per forza, come nelle copertine dei libri sul cancro. Essere deboli, è umano.
Cadere è umano, la rabbia cieca, che nessuno ci permette di confessare, è umana. L’odio, è umano.
Ognuno con i suoi tempi e con i propri mezzi, alla fine fa pace con se stesso, ed è il miglior regalo che possa farsi. Concedersi l’errore che portarsi dietro il peso del dolore di quegli anni è faticoso e ti costringe a porti dei limiti. Va bene così, non sei un Superuomo e i limiti vanno accettati. Accetta i limiti, accogli ciò che viene sapendo che puoi affrontarlo al meglio di come stai, non starai sempre bene, ma la tristezza passa sempre, e anche quella è umana.
Vorrei tornare dalla me di due anni fa, tra lacrime e tempeste interiori, con questa accettazione e dirle che in fondo va bene così. Gli esami, li farai piano, non cade il mondo. Le direi che non esistono sensi di colpa, e che se i tuoi amici davvero vivono con te, vorrebbero che tu stessi bene.
Parlare con qualcuno è il primo passo per ricominciare a vivere. Non è facile e non fa parte dello stereotipo del malato di cancro giovane e risolente. Ne vale la pena. Vivo i miei giorni pensando davvero che sono fortunata, nei giorni buoni. Altre volte mi riassale la rabbia… ma anche quella lentamente se ne va. Perché se non puoi pattinare, puoi fare danza classica. Il sole è bellissimo sulle foglie invernali. Vale la pena di tornare indietro a vedere positivo, ma non si può senza voltarsi ad affrontare il male, anziché negarlo.
La vita è meravigliosa, è la nostra, non serve trascinare le aspettative di nessuno. Come fai ad essere così forte? Oh ma non sono forte. Non ho la famosa resilienza. Io sono caduta e ho messo tutto l’impegno possibile per rialzarmi. Non chiamatela forza, né resilienza. Io lo chiamo equilibrio.