Covid-19 Le riflessioni del Bullone

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Di Giancarlo Perego

Come si cambia. Come ti cambia il coronavirus. Ogni giorno morti, ricoverati, contagi, contagi, contagi. Paure, isolamento e tante riflessioni. Siamo chiusi in casa, a cena uno in cucina, l’altro in soggiorno e gli altri ancora nelle camere. Certo, chi può. Altrimenti un affollamento pericoloso. Sì, anche in casa, come sulla metropolitana, al supermercato, in farmacia. 

Si prega, anche chi non crede.

Ma che cosa ci rimarrà? Domanda dalle mille risposte. Teniamo i piedi per terra. Proviamo a pensare come abbiamo smobilitato la salute in questi anni, chiudendo i piccoli ospedali, riducendo i posti letto perché dovevamo essere curati a casa. Ma quello che sta accadendo oggi ci dice un’altra cosa. Abbiamo sbagliato. Bisogna tornare indietro. Ma noi del Bullone lo diciamo da qualche anno: bisogna tornare alle priorità, alla priorità della salute, della ricerca, della formazione professionale degli operatori sanitari, della cura in senso ampio.

Questa è la base per il futuro.

Impariamo, non accantoniamo questa tragica esperienza quando sarà finita. Impariamo anche per i nostri figli. E sono i nostri figli, che sono già passati dallo tsunami del cancro e di altri gravi malattie come la sieropositività, l’anoressia, le malattie rare, la fibrosi cistica, a insegnarci cosa sia la paura e cosa significa l’isolamento. Ci hanno insegnato quanto sia importante avere accanto bravi medici, bravi infermieri, apparecchiature adeguate. Quanto sia importante avere a che fare con la professionalità delle persone alle quali abbiamo affidato la nostra vita. Ospedali all’altezza di un Paese civile, pronto anche alle emergenze come quella del coronavirus. Forse un giorno capiremo come mai così tanti nostri fratelli sono morti. Lo dobbiamo a loro e a noi stessi.

Non possiamo più arretrare sul fronte della salute, così come dobbiamo cambiare il nostro modo di stare insieme. La convivenza dovrà essere più accettata, accettabile. Il coronavirus ci ha fatto capire che abbiamo bisogno l’uno dell’altro. Perché solo insieme si possono affrontare queste malattie e solo insieme si può uscirne. Se vado in giro senza mascherina mi posso ammalare, ma posso anche contagiarti. Posso contagiare mio padre, mia madre, ma anche te che sei uno sconosciuto.

Non è un gioco, si muore. Molti si domandano se il Covid-19 ci cambierà. 

Tranquilli, siamo già cambiati, cambiamo ogni giorno, per forza. Il dolore e la paura sono grimaldelli del cuore convincenti. Se non potremo prevenire quello che potrà accadere in futuro, prepariamoci almeno a difenderci con tutte le armi che la scienza ci darà. Forza.

Riceviamo e pubblichiamo

L’uomo Azzurro. Solitario.

Con una tunica che a volte alza verso l’alto. Sembra un uccello che sta per spiccare il volo. Invece no, si china verso terra e con un ramo scrive sull’asfalto. Poi riprende a camminare. Si ferma per guardare dentro un cassonetto dell’immondizia. Con calma. E di nuovo torna a camminare, con il suo passo lento. Sono in macchina, con la mascherina. Sono andato a fare la spesa. Mi accosto a lui: “vuole qualcosa da mangiare?”. “No”, mi risponde. Con uno sguardo che non so descrivere. Vedo solo i suoi occhi neri che fissano un punto indefinito. Lo guardo mentre si allontana. E’ da tempo che lo incrocio, in città, ma oggi, nella città deserta, lo vedo meglio.

Mi aveva sempre colpito la sua eleganza. Torno verso casa, mentre lui diventa sempre più piccolo all’orizzonte. Lo intravvedo ancora nello specchietto retrovisore, mentre giro per entrare nel parcheggio, un punto azzurro. 

Tra poco sono a casa.

Ma l’uomo azzurro è ancora sulla strada. Toglierò dai sacchetti la spesa. Lui cercherà avanzi ancora. Cucinerò con un soffritto – c’è ancora tanto privilegio in questi miei sacrifici – lui troverà l’avanzo di un pasto gettato via. Mi accorgo di lui ancora meglio, mentre bevo un bicchiere d’acqua. Lui forse troverà una fontanella. Non sa nulla di questo silenzio improvviso e assurdo della città. Non c’è più nessuno. Non ci sono più quegli uomini che correvano come matti. Ora l’orizzonte è esteso, il silenzio più simile al suo silenzio interiore. Ora potrebbe spiccare il volo, ma si china a terra, di nuovo, a scrivere qualcosa, sulla strada deserta. Forse per noi. 

Se fosse comprensibile quella scrittura invisibile dell’uomo azzurro, forse potrei capire. Ma lo sento, in questi giorni, il suo silenzio, il suo alito, il suo respiro e di notte la sua dolcezza.

Sono arrivato a casa e dal balcone lo vedo ancora, che si china per terra a scrivere con il suo ramo e poi torna a camminare, lento. Allora faccio le scale di corsa, vorrei capire, leggere le sue parole, il suo messaggio.

Ne ho bisogno.

Finalmente lo raggiungo. Mi guarda e passando il suo mantello sull’asfalto cancella tutto.

Mi fissa negli occhi e mi da’ il suo ramo. Poi va oltre, allargando ancora quel manto azzurro.

Tengo il suo ramo in mano. Devo forse scrivere io ora una parola, qualcosa.

Me l’ha data lui, questa penna invisibile con cui ogni giorno, da sempre, ha perdonato il mondo.

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