Di Francesca Bazzoni
Mi sveglio e, come ogni mattina, proprio mentre alzo le tapparelle realizzo: sta davvero succedendo, ancora mi sembra impossibile.
Oggi sono 100 giorni dal mio trapianto di midollo, il primo traguardo del percorso di guarigione che mi avrebbe finalmente permesso di godere di alcune piccole concessioni dopo tanti mesi di reclusione. Già, non poteva arrivare in un momento peggiore questo coronavirus per chi, come me, della libertà, faceva già un lusso.
Venti giorni possono sembrare tanti, e lo sono, ma è solo un piccolo assaggio di quello che può voler dire davvero essere rinchiusi, rinunciare a tutto.
Da quasi due anni sono affetta da una malattia che comporta l’assunzione di forti immunosoppressori e la mia vita è cambiata; oggi sono una di quelli che vengono considerati «soggetti a rischio», che hanno meno probabilità di sopravvivere in caso di contagio.
Essere immunosoppressi significa dover aver paura delle cose e, soprattutto, degli altri. Imparare a non fare, non toccare, non andare… troppo affollato, troppi germi, troppo rischioso, chi l’avrà toccato? Sarà contagioso? Troppo, troppo, troppo: ogni cosa diventa possibile divieto, anche gli affetti.

Poi c’è la «prigionia», perché è così che la si vive. Per me ha significato non solo stare a Casa, ma anche in isolamento in una stanza di ospedale, costretta nel letto, con contatti limitatissimi, sentendomi un vaso di creta in equilibrio sul bordo di un davanzale.
I giorni diventano settimane, poi mesi, e arrivi a confrontarti con una parte di te che si palesa quando tutto si ferma, quando non riesci più a forzarti con le distrazioni, quando il mondo gira e tu rimani immobile, in attesa, sospeso nella tua realtà parallela, a guadare la partita aspettando di entrare in campo. Cerchi delle gocce di vita vera, quella che avevi prima e forse non riuscivi ad apprezzare davvero, impari.
Arriva il coronavirus e ti trovi estraniato dall’isteria collettiva, da chi all’annuncio di stare a casa affolla i supermercati, dal silenzio assordante alla finestra, dal clima di apocalisse che respiro mentre incrocio le persone smarrite. Questa volta sono loro che portano la mascherina, la stessa per cui sono stata tante volte oggetto di occhi inquisitori, di battute tristi, di ignoranza; ora hanno paura degli altri, come me.
Mi sembra un film in cui io stessa ho scagliato una maledizione che obbliga tutti a vivere come ho fatto io, ma adesso che anche il mondo si è fermato, vorrei solo che ripartissimo insieme.
Provo noia e rabbia perché mi è stato negato quell’assaggio di libertà appena conquistato, incredula che dopo tutto possa rischiare per un virus, ma mi concentro, come sempre, sul futuro, sognando di quando la vita tornerà normale.
L’isolamento è una prova dura, lo so, ma è l’unica soluzione per poterne uscire al più presto e può essere un’occasione per guardarsi dentro, per imparare a vivere con un nuovo spirito, per essere grati di ciò che abbiamo.