Commento all’articolo 114 della Costituzione – Regioni, Province e Comuni

Autori:

Di Ivan Gassa

Art.114 della Costituzione. La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle CittĂ  metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato. I Comuni, le Province, le CittĂ  metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione. Roma è la capitale della Repubblica. La legge dello Stato disciplina il suo ordinamento.

L’articolo 114 ha sostituito, nel 2001, il precedente articolo che recitava: La Repubblica si riparte in Regioni, Provincie e Comuni… Ad una prima lettura sembrerebbe che la modifica del 2001 sia una semplice integrazione, invece è stata una vera e propria rivoluzione. Innanzi tutto la costruzione del periodo che inverte le prioritĂ , partendo dai Comuni per arrivare allo Stato centrale, fa capire l’intenzione della modifica, introduce la figura di CittĂ  Metropolitana e ribadisce comunque l’importanza dello Stato con Roma capitale. Sulla spinta dei movimenti indipendentisti del nord, si è voluto introdurre una serie di autonomie che comuni e regioni non avevano, in ambito statutario (possono avere uno statuto proprio), normativo, amministrativo, finanziario e politico, sempre nei limiti dettati dalla Costituzione. Altri articoli regolano nel dettaglio queste autonomie. La costituzione di CittĂ  Metropolitana ha invece lo scopo di coordinare, in determinate situazioni, aree geografiche attigue alle grandi cittĂ , per la soluzione di problemi comuni, come ad esempio i provvedimenti antismog. Questa svolta si chiama «Federalismo». Insomma, si è voluto decentrare parte del potere agli enti locali, con lo scopo di snellire e velocizzare la burocrazia e il conseguente risparmio di denaro pubblico. L’intento era quello, da parte delle Regioni piĂ¹ ricche, di trattenere piĂ¹ risorse possibili nei territori di competenza; mentre la filosofia federalista dovrebbe spingere le Regioni piĂ¹ ricche ad aiutare le piĂ¹ povere a crescere per raggiungere l’autonomia, con il coordinamento dello Stato centrale.  In un periodo come questo, con la battaglia in corso contro il corona virus,  si sente la necessitĂ  di questo mutuo soccorso tra Regioni, in questo caso il nord ricco in difficoltĂ  viene aiutato dal sud povero e disastrato, dimostrando che uniti si puĂ² vincere. D’altronde la nostra Costituzione ci ricorda spesso che il motto risorgimentale era «unitĂ  d’Italia». 

IL COMMENTO

Di Anna Cosentini

Siamo l’Italia, una nazione composta da 20 regioni, da 107 aree territoriali (comprendenti Province e CittĂ  Metropolitane) e da 7914 comuni, ma con una sola capitale: Roma, la cittĂ  eterna. 

Siamo 20 regioni, ognuna con storia, cultura, tradizioni e, perchĂ© no, lingue diverse. Ma siamo tutte unite sotto la stessa bandiera a bande verticali di colore verde, bianco e rosso. 

E se a livello legislativo siamo coese, non si puĂ² dire lo stesso sul piano reale. 

Nell’estrema lotta tra Nord e Sud, tra ricchi e poveri, tra nebbia e sole, ora ci troviamo tutti ad affrontare la stessa emergenza. 

Ma come possiamo solo pensare di gestire l’emergenza Covid19 in modo compatto, unitario e coerente, se siamo impegnati ad accusarci a vicenda dei mancati obiettivi raggiunti? Come pensiamo di far fronte a un’emergenza sanitaria di portata nazionale, se la Lombardia ha piĂ¹ di un migliaio di posti letto in terapia intensiva, mentre in altre regioni il numero si aggira attorno ai 200/300 posti? 

Ăˆ vero, ogni regione è un ente autonomo con funzioni, statuti e poteri propri, ma forse questa libertĂ  che permette ad ogni regione di gestire in modi diversi «il budget» economico a disposizione, andrebbe gestita meglio, al fine di equilibrare quegli «scompensi» che mano a mano aumentano sempre piĂ¹.

Agli inizi dell’epidemia, la questione coronavirus sembrava interessare solo la Lombardia, il Veneto e l’Emilia-Romagna: e mentre l’apparato burocratico di queste regioni cercava di gestire la situazione, i governatori delle altre regioni e i diversi sindaci italiani hanno pensato che per arginare e contenere la situazione sarebbe forse bastato fare appello al buon senso dei cittadini, chiedendo di non spostarsi dal proprio comune e soprattutto di «non scendere al Sud». Sfortunatamente essi non avevano fatto i conti con il nemico piĂ¹ grande. E non mi riferisco al virus: sto parlando del panico

Quando sono emersi i primi casi positivi una buona parte della popolazione «fuori sede» è rientrata a casa dalle loro famiglie, guidata appunto dal panico e dalla paura. 

Non mi sento in grado di giudicare coloro che hanno preso questa decisione ma è necessario comunque riflettere sulle conseguenze che questa loro scelta ha avuto sull’Italia intera.

Dopo il panico iniziale durato circa cinque giorni, la situazione è perĂ² cambiata: il problema forse era meno grave di quello che si pensava, infondo poteva essere just a simple flu e quindi keep calm and carry on, come ha sostenuto qualche inglese forse troppo ottimista. 

Una volta allentata la presa perĂ² la situazione si è aggravata in modo irreversibile: la zona rossa si allargava e, piĂ¹ questa si espandeva, piĂ¹ le persone cercavano di allontanarsene, scappando via da un qualcosa che perĂ² correva molto piĂ¹ velocemente. 

E si è giunti ad una decisione che io mai avrei pensato: l’Italia intera bloccata, 65 milioni di persone bloccate. Ora sì che si fa sul serio: siamo stati privati giustamente della nostra libertĂ , diritto garantito dall’articolo numero 16 della costituzione. Spostarsi da un comune all’altro, da una regione all’altra è diventato impossibile. Ma è giusto così…

Ed ora siamo così vicini ma così lontani, e continuiamo a sperare in un domani migliore. 

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