Le riflessioni dei cronisti del Bullone su questi giorni di dolore e sull’incognita del dopo Coronavirus. Che cosa ci lascerà? Anche il modo di vivere la città cambierà. Meno smog, più spazi aperti, verde e case basse. Prepariamoci alla sfida
Di Sarah Kamsu
Tornare a casa dopo una giornata di sali e scendi metropolitani, infilarsi le ciabatte, farsi la doccia, preparare il thè, dare da mangiare al cane.
Doveri e piaceri.
Condivisi e da soli.
Noi siamo la casa, perché casa non è l’abitazione, sono le persone che vi abitano. Sono gli animali, le piante, i nostri affetti, i nostri ricordi, sia che tu viva in una capanna, o in un grattacielo.
L’essenza della casa sono le persone, sia che tu debba tirare la cinghia tra bollette e affitto, sia che ti possa comprare tutto ciò che vuoi.
La casa siamo noi e gli altri.
Mi immagino case alternate da musica e silenzi, ascolto e condivisione, dialoghi e discussioni. Mi immagino case in cui figli e genitori, partner e partner si riconoscono tutti sullo stesso livello. In cui i membri cercano l’armonia all’interno di quello spazio.
Mi immagino di poter entrare nella casa delle persone, sempre con rispetto, con il giusto riguardo. E allo stesso modo di lasciare la mia casa un po’ più aperta. Mi immagino persone che si preoccupano non solo della loro casa, ma anche di quella degli altri, persone capaci di interessarsi dei loro vicini, di chi sta loro intorno. Capaci di salutare, di chiacchierare con i propri fratelli.
Poi per un attimo, immagino anche case senza amore, fredde, grette, tiepide, un po’ come le persone che le abitano. Perché la casa rappresenta esattamente quello che siamo noi, il tipo di ospitalità che richiama gli altri rispecchia quello che noi siamo dentro.
Possiamo avere la casa più grande e sfarzosa del mondo, ma senza amore tra le persone non si costruisce nulla. Immagino case in cui la priorità è la famiglia e il benessere di ogni componente, case in cui si comunica, ci si riunisce, si affrontano i problemi insieme, ci si sostiene. Mi immagino case come nidi che ci permetteranno, un giorno, di volare là fuori, nidi in cui possiamo tornare e sentire di nuovo il calore che a volte manca quando siamo lontani. Immagino case come scuole, radici dove si imparano i valori della vita. Case dove si sperimenta sulla propria pelle cosa significa vivere insieme agli altri. Case come micro-comunità in cui tutto è possibile.
Sono tanti i consigli che darei.
Sicuramente uno è imparare a fare le cose insieme, a trasmettere ai figli qualcosa, a cucinare, a chiedere loro di aiutarci a fare le faccende di casa.
Mi immagino case piene di gioia, ma anche le emozioni sono molteplici e possono farle mutare in luoghi di urla di sofferenza. Può capitare di scontrarsi e quando questo accade, immagino che le persone non dormano con la rabbia nel cuore, ma il giorno dopo facciano la pace e se non riescono, siano capaci di sedersi intorno a un tavolo e parlarne.
Ma immagino anche situazioni in cui la famiglia è divisa e una persona è costretta ad alternarsi in case diverse: questo può portare sofferenza, credo che per un bambino l’importante sia riuscire a vedere i propri genitori come figure di riferimento forti. E sia necessario parlare della difficoltà di vivere in case diverse.
Una persona ha bisogno di una casa, ma anche di spazio per guardarsi dentro.
Non esiste una casa migliore di quella dentro di noi. E più riusciremo a decorare la nostra interiorità di qualità positive, più riusciremo ad abitare meglio con gli altri.
Immagino case in cui si instaurano rapporti di intimità e dove si può dire di tutto, dove non esistono maschere, dove ci si sostiene l’un l’altro parlando di argomenti seri e meno seri. Mi immagino case in cui esiste una sorta di patto familiare dove nulla viene imposto, ma tutto viene deciso dai suoi membri e a cui i membri decidono liberamente di sottostare.
La casa la costruiamo noi, giorno dopo giorno, e più costruiremo castelli, più costruiremo re e regine.
Perché una casa si compra, ma poi bisogna costruirla insieme.