«La vita è come la fotografia. Sono necessari i negativi per lo sviluppo». Non è semplice raccontarmi attraverso uno scritto, ogni frase che cerco di comporre mi sembra sempre scorretta, ma voglio provare a parlare di una parte della mia vita che è stata fondamentale per rendermi ciò che sono ora.
Di Eleonora Bianchi
La diagnosi
Nel 2008 dopo la diagnosi di leucemia linfoblastica acuta, la mia vita ha subito un grande cambiamento. Ero un’adolescente di quattordici anni e non comprendevo realmente quale fosse la mia situazione allora, né tanto meno quali sarebbero state le cure che avrei dovuto seguire per poter stare di nuovo bene.
Prima di ammalarmi frequentavo il primo anno del corso di acconciatura e il mio desiderio di allora era diventare un’esperta parrucchiera. Mi piaceva stare a contatto con le persone: ho sempre avuto il desiderio di trasmettere qualcosa, così speravo di diventare una professionista nel mio settore per farlo attraverso forbici, spazzola, phon.
Quando iniziai le cure capii però che per trasmettere qualcosa non basta essere bravi in quello che si fa, ma è importante saper comunicare con gli altri. A diagnosticare la mia malattia è stato il Dott. Marco Volpi. Allora era il mio pediatra e non lo ringrazierò mai abbastanza per essersi preso cura di me. Dopo essere stata in vari ospedali, sottoposta a numerose analisi, entrai al San Gerardo di Monza dove finalmente cominciarono ad ascoltarmi.
Incontrai un’equipe di professionisti che da lì in avanti mi avrebbe curata da ciò che viene definito tumore del sangue. Da un lato fu un sollievo dare finalmente un nome alla mia malattia che fino a quel momento era stata sottovalutata e interpretata diversamente. Quando per la prima volta il dottor Jankovic, oncologo pediatrico molto stimato, entrò nella mia camera per spiegarmi di che cosa soffrivo, non ero in grado di capire perfettamente quello che mi diceva.
Ricordo che me lo spiegò attraverso una storia, una metafora. In un libro c’era la foto di un giardino, prima in fiore, poi pieno di erbacce infestanti; ci sarebbe quindi voluto l’intervento di un giardiniere che le estirpasse e riportasse ordine per poi far sbocciare nuovi giori.
La cura
Così iniziai le cure e anche la lotta per eliminare le «erbacce». I cicli di chemioterapia che ho seguito sono durati circa due anni. Inizialmente passavo molto tempo in ospedale, ma poi ho potuto sostenere le terapie a casa o in day hospital.
Durante questo periodo, oltre alla cure, è stato importante stare con persone che mi trasmettevano tranquillità ed energia. Pensavo che in quell’ ambiente sarebbe stato difficile incontrare della gente così, invece è stato tutto il contrario. In ospedale il personale che mi seguiva sapeva unire professionalità ed empatia, creando con il paziente e la sua famiglia un legame capace di dare serenità e sicurezza.
Le mie persone: con loro ho ripulito “il giardino dalle erbacce”
Ricordo con affetto e gratitudine tutti i medici che mi hanno seguito, ma in particolar modo ricordo Alessandra: il suo sorriso, la sua simpatia e la sua comprensione erano ciò che mi serviva. Potevo dirle tutto. Raccontarle ciò che provavo mi era facile, naturale e mi sentivo sempre ascoltata.
Le infermiere sempre positive e solari, riuscivano con un sorriso e qualche battuta a rendere meno pesanti le terapie. Ho avuto la fortuna di conoscere Marisa, anche se di lì a poco sarebbe andata in pensione: era un uragano di energia e cercava sempre di trasmettertela con ogni mezzo. Non la dimenticherò mai e spero che un giorno anch’io sarò in grado di comunicare agli altri tutta quella vitalità.
Un’altra persona speciale di quell’equipe è stata Danila, l’aiuto anestesista che mi teneva sempre la mano durante la rachicentesi. Al risveglio le chiedevo di darmi un bacio prima di andarsene. Era tenera e al tempo stesso forte, e sapeva farmelo capire.
Il sostegno dei miei genitori e di mia sorella è stato fondamentale. Ognuno ha reagito a modo suo a ciò che mi stava capitando, ma siamo comunque diventati più forti insieme, sostenendoci l’un l’altro. Naturalmente un importantissimo punto di riferimento è stata mia mamma: sempre attenta, affettuosa, paziente, e con una grande forza.
È una donna in gamba anche se lei spesso non se ne rende conto. Le voglio un gran bene.
Le amicizie sono state un po’ critiche da portare avanti quando mi sono ammalata, ma ho compreso la difficoltà di chi non è rimasto e poi ho perdonato. Marina, una delle poche ad esserci stata sempre, è rimasta con me allora e ancora oggi mi supporta e mi sopporta: non avrei potuto trovare amica migliore. Quando ero in cura veniva a trovarmi appena poteva e insieme cucinavamo o guardavamo un film: e grazie a questo la mia giornata riacquistava un po’ di normalità. Non penso si rendesse conto di quanto fossero preziose per me le ore passate con lei, ma era davvero un sollievo averla vicina.
Importante è stata anche la presenza di Antonella, un’altra amica. La conoscevo da un anno quando ho scoperto la malattia; abitando distanti non potevo vederla spesso come Marina, ma anche lei si faceva sentire sempre e ancora oggi siamo in contatto e mi è vicina.
L’incontro con Elia, la mia personale infermiera a domicilio, è stata una fortuna. Con lei ho condiviso momenti di gioia e di dolore; il sostegno e la tenacia che mi ha trasmesso sono stati fondamentali per la mia guarigione. Anche lei aveva avuto un cancro al seno e l’aveva sconfitto con grinta e determinazione. È stata l’esempio di come anch’ io avrei dovuto combattere e uscirne vincente.
E di nuovo la fioritura, arricchita da stra-ordinarie esperienze
E così è stato. Anche grazie a loro sono riuscita a liberarmi di quelle «erbacce». Le cellule che mi avevano fatta ammalare non sono riuscite a danneggiarmi e, anzi, l’esperienza che ho affrontato mi ha resa molto più forte. Dopo le cure la mia vita è ripresa normalmente, ma con delle consapevolezze in più e con più grinta.
Ho terminato la scuola di parrucchiera anche se ho deciso di seguire un’altra strada. La cosa più importante dopo la guarigione è stato il contatto con il mondo del volontariato e in particolare con la Magica Cleme che mi ha permesso di vivere avventure, viaggi ed esperienze fantastiche grazie alle quali ho conosciuto persone meravigliose e stretto nuovi legami di amicizia.
Tra questi, Denise, un’amica importante con cui confrontarmi e condividere emozioni, e Giulia, super vivace, ti dà la carica, sa farti sorridere ed emozionare. Entrambe sono per me ora due grandi amiche.
Altre persone stupende le ho conosciute a Dynamo Camp, un luogo dove ogni ragazzo mette da parte insicurezze e paure e cerca di superarle s dando se stesso e i propri limiti.
Non solo: con l’associazione del San Gerardo di Monza «Quelli che con Luca» ho avuto l’occasione di fare «l’ ombrellina» ad alcune gare di moto, appassionandomi a questo sport.
A tutto questo si aggiungono i momenti passati con B.LIVE: una grande famiglia in cui ognuno condivide con gli altri la propria esperienza e che si arricchisce continuamente di nuove persone e nuovi progetti.
Non posso, infine, non nominare amici unici come Davide, Marika, Chiara, Francesca e Stefano. La loro presenza e il loro aiuto mi hanno insegnato che i gesti spontanei fanno sentire meglio chi sta vicino. Perché ciò che conta, oltre a quello che si desidera trasmettere, è «come» lo si trasmette.
La vita è una lotta: vivila, amala, credici.
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