Di Stefania Spadoni
A cosa serve l’arte? È una domanda che spesso rivolgo a me stessa e a cui cerco risposta in continuazion: nei libri, nei quadri, nei film, nelle immagini che ogni giorno mi passano davanti agli occhi, nelle cose che io stessa cerco di creare per raccontare, per parlare agli altri, per entrare in contatto con me stessa e con chi osserverà, ascolterà o semplicemente si avvicinerà, a quella piccola creazione. Quindi, forse, la risposta a me più vicina è che l’arte è la conseguenza di un’esigenza. Ora è accaduto che nella mia vita mi siano successe delle cose, a volte molto difficili, come conoscere la malattia e imparare a conviverci. Insieme a lei sono arrivate delle persone, che come me stavano affrontando un percorso di guarigione e a volte, quando questo non era possibile, semplicemente un percorso di accettazione. È successo che ho iniziato ad usare l’arte per parlarne e ha funzionato, per me e per gli altri. Una catarsi personale e un avvicinamento a questa realtà da parte di chi ne è semplicemente lontano. Per Il Bullone ho lavorato su alcuni progetti artistici che parlavano delle cicatrici degli esseri umani tutti. Quest’anno in occasione della mostra de La Lettura «La Poesia è di Tutti», il curatore Antonio Troiano, ha chiamato noi B.Livers alle armi con una semplice richiesta: raccontare la nostra poetica.
È nato così un percorso di narrazione di alcune storie intime e personali, che si è concretizzato in due meravigliose opportunità.
La prima, CLOSER, è una video installazione che attraverso micro-espressioni del volto di brevissima durata, racconta le emozioni di uomini e donne messi a nudo davanti a uno sguardo fermo e neutro come quello della videocamera. Un’opera che invita ad avvicinarsi e ad entrare in contatto con le espressioni dei visi, esposti allo sguardo altro come tele bianche sulle quali lo spettatore può disegnare le proprie di emozioni, riconoscersi e riscoprirsi. Ad aiutare questa interazione, alcune voci che arrivano da non luoghi che ognuno può rendere personali e vicini e che raccontano storie straordinariamente ordinarie di vite a volte complesse, ma vissute a pieno. Una restituzione attraverso una sinestesia di elementi semplici profondamente umani e poetici.
E poi, DO YOU B.LIVE IN POETRY ? una performance nata dalla collaborazione con il collettivo Generazione Disagioguidato da Enrico Pittaluga, che ha coinvolto altri cinque autori, Antonio Pinnetti, Daniele Gaggianesi, Luca D’Addino, Riccardo Pippa, Simone Savogin, e otto B.Livers che hanno deciso di esporsi e raccontare le loro storie, recitate poi in versi inediti, attraverso la Poetry Slam. Durante la performance si sono toccati, attraverso storie molto personali, alcuni temi universali come la morte, il dolore, l’invisibilità, i pregiudizi, il cancro, l’HIV e l’anoressia. Ora rifletteteci: perché una persona che ha sofferto o che soffre dovrebbe rivivere attraverso l’arte quel dolore? Perché non scappare e basta? Perché non stare zitti? Perché non mostrare? Perché c’è un esigenza. È l’esigenza di affrontare il dolore, per superarlo in primis, ed è l’esigenza di trovare una chiave di comunicazione per tutto questo, una chiave che apra la porta di realtà a volte taciute, nascoste, rifiutate. E allora eccola la risposta alla mia domanda. A cosa serve l’arte? L’arte ha il potere di trasformare l’infinitamente personale in estremamente universale. La seconda domanda è: c’è bisogno di tutto questo? Sì, assolutamente, perché il mondo oggi deve tornare ad essere umano e avvicinarsi all’altro.