Mia

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Ancora adesso, guardo la mia Venere come un marinaio guarderebbe una sirena. Affascinata e spaventata. Ti ho creata, ma non ho potere sugli effetti che avrai. Sei altro da me e contemporaneamente sei l’essenza più pura di come io e la Miastenia siamo. Non pensavo di poter creare del bello materializzando la mia malattia. Io odio davvero quello che rappresenta, la testa frenata, le gambe pesanti, la perenne bilancia tra cosa fare e cosa no per risparmiare energie. Eppure il mio odio non ha creato bruttezza. Le idee sono sempre state molto chiare, gli “impedimenti” della malattia molto delineati. Ero molto focalizzata su di Lei, la malattia invisibile. Poi un lampo, una cicatrice reale ce l’ho, deve averla anche la mia Venere: il mio tatuaggio, la mia cicatrice volontaria. Adesso la Venere mi somiglia di più, non è solo malattia. Io non sono solo malattia. Poi la scelta del colore della gonna, le mille mani perché sia tutto perfettamente omogeneo, dando idea di rigidità. “Vedi cos’è? Eleganza”, mi hanno detto. Uno schiaffone. Mi sono impegnata per buttarle addosso tutto quello che della Miastenia mi ha fatto male, frenato, trasformato. E tutti la vedono bella, elegante, regale.

Mia

I still look at my Venus in the way a sailor would look at a siren. Fascinated and frightened. I created you, but I can’t control the impact you might have. You are other than me and at the same time you are the purest essence of how me and myasthenia are together.

I didn’t think I would be able to create beauty through making an object out of my illness. I really hate what it represents, the brain with the brakes on, the heavy limbs, the perennial balance between things to do and things not to do, to save energy. But my hatred didn’t create ugliness.

The ideas were always very clear, the “impediments” of the illness well defined. I was very focused on Her, the invisible illness. Then a lightning flash, my Venus had to have a real scar that I have: my tattoo, my voluntary scar. Now my Venus looks more like me, she is not just the illness. I am not just the illness. Then the choice of colour for the skirt, thousands of layers of paint so that everything could be perfectly smooth giving a sense of rigidity.

“Do you see what she is? Elegance,” they said to me. A real insult. I had committed to throwing on her everything that had hurt me, stopped me, changed me because of the myasthenia. And everyone saw her as beautiful, elegant, regal.

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