Sta germogliando nelle società mondiali un nuovo movimento giovanile che lotta contro il razzismo e per un ambiente pulito. Era da anni che, nonostante le grandi ingiustizie, l’urlo dei ragazzi veniva soffocato. Oggi siamo di fronte ad una svolta epocale.
Di Fiamma C. Invernizzi
La verità è che non si respira. Ad Agbogbloshie non si respira. E nemmeno a Bantargebang o a Jiangcungou. Nelle tre discariche più grandi del mondo – rispettivamente in Ghana, Indonesia e Cina – il fiato si spezza sommerso da tonnellate di plastica e batterie. Manca l’aria.
A Minneapolis manca l’aria. Con il viso schiacciato a terra, un ginocchio sul collo, si soffoca. Apnea. Panico. Il diaframma si contrae, faringe e laringe si chiudono. Spasmo. I polmoni si svuotano. Buio. La verità è che non si respira.
Chiamiamola violenza, cambiamento climatico, razzismo, sfruttamento di suolo, sovrapproduzione, consumismo insostenibile, emergenza ambientale, oppure definiamola per quella che è: assenza di ossigeno. Tra le discariche e l’asfalto si muore per assenza di ossigeno.
Chiedere un futuro migliore
Ma i miei piedi non passeggiano su montagne di scarti e il mio corpo non ha mai sentito il dolore ruvido del manto stradale. E se allo stesso modo, le tue suole premono su altri terreni e non hai mai subito orride violenze, allora, insieme, abbiamo un dovere: respirare a pieni polmoni e parlare. O meglio, respirare a pieni polmoni e chiedere. Chiedere giustizia, chiedere libertà, chiedere possibilità.
Chiedere un futuro migliore di questo presente acciaccato e stanco, smemorato e distratto. Utopia, coraggio e determinazione. Quasi come se ci fossimo per un attimo assopiti, prima che arrivassero due inconsapevoli promemoria delle necessità umane, due figure che, tra loro, più distanti non potevano essere: Greta e George. Fortemente volontaria la prima, armata di pennarello e cartone, tristemente involontario il secondo, inerme e manifesto del suo solo colore di pelle. Servivano, loro, all’umanità intera. Servivano due visi, due storie, due icone, due vite.
Le treccine di lei e i tratti marcati di lui. Necessari perché, non si sa come, l’essere umano senza volti in cui specchiarsi, si smarrisce nella moltitudine dell’anonimato. Lo abbiamo già visto accadere fin troppo spesso: nessun barcone di migranti vale come quel corpicino steso, esanime, su una spiaggia del Mar Egeo, con la sua maglietta rossa e la testa riversa sulla spiaggia. Aylan. Nessuna guerra vale come l’urlo straziante di una bambina vietnamita che, nuda, corre disperata alla ricerca della salvezza. Kim Phuk. Nessun olocausto vale come il cappottino vermiglio che Steven Spielberg colora sulla pellicola di Schindler’s List. Anche se senza nome. Perché io sono loro. Io sono Aylan. Sono Kim Phuk. Sono il cappottino vermiglio. Sono Greta e sono George. E anche tu.
Non possimao restare indifferenti
Niente vale come un viso, un paio di occhi, una sagoma, un gesto o una voce. Giovane, anche. Colorata, pure. Siamo impermeabili ai dati, alle statistiche, alle previsioni, ma non possiamo restare indifferenti davanti allo sguardo di un altro uomo. Quante volte ci hanno detto che il cambiamento climatico è una delle cause principali delle grandi migrazioni contemporanee, che sradicano milioni di persone dalle loro terre di origine? Quante volte ci hanno parlato del surriscaldamento globale e dello scioglimento dei ghiacci, eppure non abbiamo messo piede in strada per protestare? Innumerevoli. Ma ecco Greta e con lei le manifestazioni. Quante volte abbiamo letto sui giornali di violenze di genere, di etnia o di religione? Innumerevoli. Ma ecco George e con lui le proteste. Immerso nell’ingiustizia, il mondo si è risvegliato dal letargo, cosparso di tweet e post, di persone e di facce, ed è sceso in strada, riempiendo le piazze di colori, parole, richieste, proteste, canti e disegni. Speranze. Milioni di speranze dalle sembianze di giovani, ragazze e ragazzi, bianchi, gialli, neri, rossi, magri, alti, grassi, laureati e non, diplomati e non, in un’esplosione di petali rivoluzionari, invogliati a far parte di quel cambiamento che, oggi, si prospetta più che mai necessario.
La Manifestazione Del Respiro
Se quello del 1773 è stato definito il Boston Tea Party, quella del 1930 la Marcia del Sale e quelle del 2005 le Rivoluzioni dei Cedri e dei Tulipani del Medio Oriente, allora chiederei al mondo che queste venissero definite le Manifestazioni del Respiro. Le Rivoluzioni dell’Aria. «Quante volte si deve ancora ripetere la stessa storia?», scrive Alice, 19 anni, nel cuore di Philadelphia. «Le azioni urlano più forte delle parole!», risponde Jamie, 22 anni, da Melbourne. «Il silenzio è complice!», urla Paul, 20 anni, sotto l’Arco di Trionfo di Parigi.
Pennarelli e cartoni non sono mai stati così potenti, se mescolati alla forza virale degli hashtag e dei social network. Pennarelli e cartoni accompagnati da nomi, visi, sguardi, storie e volontà di cambiare. Allora vorrei che esistesse una giornata all’anno per questa condivisa Manifestazione del Respiro, questa Rivoluzione dell’Aria, che riempia le strade di tutto il mondo, che interrompa circoli viziosi inutili e superati, che permetta agli omosessuali di abbracciarsi in pubblico e sposarsi, che dia la possibilità alle donne di essere considerate prima come menti pensanti che come corpi, che ricordi alla politica che l’ecologia non è solo una parola da slogan, ma una meta da raggiungere con fatica e dedizione, che dia voce a chi voce non ce l’ha mai, che non permetta la violenza gratuita di genere, di etnia o religione, che possa trovare tutti uniti per un futuro migliore. Senza violenza. Senza i manganelli e il sangue a macchiare le mani e le idee. Senza le auto bruciate e le bottiglie lanciate.
Ricominciare a respirare tutti insieme
Mao Tse-Tung diceva che «la rivoluzione non è un pranzo di gala, non è un’opera letteraria, un disegno, un ricamo; non la si può fare con altrettanta eleganza, tranquillità e delicatezza, o con altrettanta dolcezza, gentilezza, cortesia, riguardo e magnanimità; la rivoluzione è un’insurrezione, un atto di violenza con il quale una classe ne rovescia un’altra», lo so. Però la Manifestazione del Respiro, la Rivoluzione dell’Aria, può avere la stessa potenza, senza la medesima cattiveria. Una forza vitale, costante, di quelle che sì, distruggono i vecchi pregiudizi, ma rimescolano le idee per un radicale cambiamento di attitudine, comportamento e cultura. E l’ultima riflessione che vale la pena di fare, ora, è quella sul tempo. Un tempo che non può più aspettare, che non può avere la durata di una generazione, un tempo che non può essere diverso dall’oggi, differente dall’ora. Adesso è l’unico tempo che abbiamo per tutelare i diritti condivisi, per prenderci cura dell’unico Pianeta che abbiamo. Adesso è l’unico tempo che abbiamo per ricominciare a respirare. Tutti. Insieme.