L’Intervista Impossibile di questo mese viene dedicata ad una grande imprenditrice italiana, Luisa Spagnoli. Ispiratrice e modello di professionalità. Viene interpretata da Aldo Spagnoli, nipote di Luisa Spagnoli, è un imprenditore indipendente nell’acquisto e distribuzione di programmi TV. È attualmente socio fondatore e amministratore unico di Funwood Media, e Presidente e socio di Wamba Athena Onlus.
Luisa Spagnoli interpretata da Aldo Spagnoli
Di Francesca Filardi
Sono in ufficio e sto lavorando sul nuovo progetto della Fondazione che punta alla ricerca di un’economia e di un’imprenditorialità sostenibili e a forte impatto sociale. Decido di fare una pausa e ho bisogno di zuccheri che mi facciano andare il cervello. Così apro la mia borsa e ci trovo un Bacio Perugina; lo scarto pensando proprio a lei, Luisa Spagnoli, la grande imprenditrice illuminata. Quale miglior fonte di ispirazione per «immaginare ciò che ancora non esiste»? Ma eccola che sta per arrivare per la nostra intervista.
Luisa, sei una donna intraprendente, creativa e con uno spiccato senso per gli affari. Hai contribuito al processo di industrializzazione dell’Umbria, dall’idea vincente del Bacio Perugina, all’Angora Spagnoli. Nelle tue idee imprenditoriali c’è innovazione, attenzione al territorio e ai prodotti locali, ma anche ai propri dipendenti. Sei una donna di indiscutibile umanità. Come è cambiato il modo di fare imprenditoria? Qual è il dovere morale di un imprenditore oggi?
«Meno improvvisazione e più professionalità: chi gestisce un’azienda non può più avere una formazione specifica. Deve avere una grande preparazione personale e conoscere bene i suoi concorrenti. Il suo dovere morale è rispettare il territorio. Oggi tutto quello che si produce spesso viene fatto dove costa meno, senza rispettare i diritti umani. C’è una grande disparità di ricchezza tra i ruoli e una massimizzazione dei costi-ricavi, non necessariamente rispettando ambiente ed economia. Credo che il punto di forza e solidità della nostra azienda sia un Made in Italy che punta sul classico e segue la linea d’origine, a differenza di molte altre aziende che, pur di stare al passo con la moda, dimenticano la loro autentica identità».
Che cos’è per te l’innovazione? Può essere «responsabile»?
«Innovazione è ricerca. Molte cose sono nate da errori nello sperimentare le proprie idee; lo stesso “Bacio”, chiamato inizialmente “Cazzotto”, è nato così: da un impasto di cioccolato e frammenti di nocciola. Oggi un modo responsabile di innovare è guardare a livello locale, pur pensando a ciò che avviene a livello globale».
Come trasmetteresti lo spirito imprenditoriale ai giovani? Da dove pensi nascano le idee?
«Ciò che penso di aver passato alla mia famiglia è la generosità: abbiamo sempre avuto la gioia di donare. C’è un gusto di condivisione a prescindere dallo stato sociale, il voler far vivere bene tutti quanti, magari rinunciando a qualcosa. Anche attualmente si trovano dipendenti di 3 generazioni, che lavorano nella stessa azienda. Una delle pecche a livello finanziario è di non essere un’azienda globale. Anche questa scelta è una forma di generosità: la rinuncia alla globalizzazione e alla perdita della sua natura. La familiarità, l’imprenditorialità e la territorialità oggi sono dei valori aggiunti. Certo si perde qualche cifra. Azienda è famiglia. Come un genitore è in grado di fare sacrifici per i figli, così un imprenditore deve essere in grado di rinunciare, investire e prendersi responsabilità verso i propri dipendenti per poter dare continuità. L’idea di inserire i bigliettini all’interno dei Baci Perugina è nata grazie all’inventiva di mio figlio Aldo. L’imprinting è rimasto: gusto del fare con sapere e creatività, ma anche con senso di sacrificio. Oggi vedo nei giovani tanta propensione al sacrificio psicologico e intellettuale, ma non fisico. Prima si lavorava tutti i giorni. Importante è il contatto umano e pensare di non voler avere tutto e subito. Le idee nascono dalla curiosità, dal fuoco che si ha dentro».
Hai chiamato a lavorare le donne quando erano senza diritto di voto. Ancora oggi, Luisa Spagnoli S.p.a. è costituita per il 90% da donne. Hai creato un asilo negli anni 20 perché hai capito che solo con il lavoro le donne potevano emanciparsi. Qual è il potere delle donne?
«Quello di poter dare la vita, di creare. Io gli riconosco grande tenacia e forza. Non le definisco un sesso debole, non vedo nessuna fragilità. La donna gestisce bene sia l’ambito familiare che l’azienda. Mi definiscono una visionaria, capace di non stare a pensare quello che dicono i più e i luoghi comuni, generare un insegnamento che vale anche oggi. Sebbene in Umbria ancora esistano tracce di maschilismo, ci sono molte donne che fanno un lavoro egregio. Mi è stata data la possibilità di mandare avanti l’azienda innanzitutto perché gli uomini erano stati richiamati in guerra. Inoltre, i conigli d’angora venivano allevati a casa e una volta che terminavano le mute, diventavano fonte di sostentamento per le famiglie. Capire cosa può aiutare e avere la gioia di donarla, è sinonimo di ricchezza. Questa non si misura in soldi e cifre, in quante cose hai, ma c’è un bilancio dell’intangibile. La ricchezza di avere famiglie che stanno meglio credo sia infinita rispetto a una multinazionale, che conta i milioni che ha, impoverendo la popolazione».
Cosa significa essere imprenditrice oggi?
«Oggi non c’è nessuna differenza. Le donne hanno spesso dimostrato che sono mediamente più brave a scuola e a lavoro. Hanno a volte difficoltà pratiche temporanee legate solo alla maternità che impone giustamente di dedicare maggior tempo ai figli. Oggi uno dei beni più preziosi è il tempo: devi dare tutto quello che hai. Sia uomini che donne dovrebbero però dedicare anche parte del loro tempo a loro stessi e alla propria crescita, anche per poter lavorare meglio».
Hai dovuto fare una guerra contro i pregiudizi, hai subito qualche «attacco» per fondare un’azienda in quanto donna?
«Sì attacchi brutali. Ho dovuto superare gli stereotipi della donna che doveva “stare al suo posto” anche dal punto di vista affettivo. Mi sono legata a una persona molto più giovane di me lasciando mio marito Annibale, un visionario moderno, buono e generoso che si è fatto da parte. Ad attaccarmi erano sia donne che uomini. Le donne, perbeniste e magari anche invidiose, ritenevano che alcuni ruoli non ci competessero, e gli uomini, che non comprendevano come mai dovessero interloquire con personaggi femminili e che non rispettavano. Ho avuto la vita difficile sotto tutti i punti di vista».