Di Tino Fiammetta
«Ho imparato dalla malattia molto di ciĂ² che la vita non sarebbe stata in grado di insegnarmi in nessun altro modo», è Goethe che parla, (anzi, scrive) e non possiamo che dargli ragione. Certo, preferiremmo rimanere ignoranti, perchĂ© stare in salute è meglio, a dispetto di chi avverte con ottimistica sicumera che le malattie sono domande, sono anche dei compiti, perfino onorificenze, tutto dipende da come uno se le appunta al petto… cioè da come uno le vive e le fa vivere ai suoi amici e parenti.
A volte è vero. A volte.
Ma quando la malattia si prolunga, si impadronisce per tanto tempo della tua vita e trascina parenti, amici, fidanzati in un gorgo di disperazione, tutto rischia di diventare precario. Tutto viene messo in discussione. Famiglie solide iniziano a vacillare, rapporti inossidabili si sgretolano, amori affidabili e relazioni granitiche cominciano a tradire qualche crepa sempre piĂ¹ profonda, man mano che la malattia si fa sempre piĂ¹ persistente.
In realtà , all’inizio, quando la terribile diagnosi deflagra all’improvviso, attorno alla vittima di turno si crea una gara di solidarietà sempre dei soliti amici e parenti. Per coccolare chi è caduto in disgrazia e assisterlo amorevolmente. Ma quando la malattia mostra quotidianamente il suo volto totalizzante, come un Minotauro a cui bisogna offrire ogni giorno una libbra di carne, lo scenario cambia.
La sofferenza, il dolore che si replica e l’assillo insistente che ti trascina su un letto, prosciugano quelle blande riserve di pacatezza che erano sopravvissute e ti trasforma il carattere. Chi ti è vicino – sorelle, fidanzati, amici, compagni di scuola, colleghi – viene spiazzato dalla metamorfosi di un’indole da esuberante a depressa, da mansueta a irascibile. Si diventa ombrosi, ossessivi, rancorosi, petulanti. E gli amici, a poco a poco spariscono. Le visite si fanno piĂ¹ rare… Anche gli innamorati che si erano promessi un amore, magari non eterno, ma almeno stagionale, si confessano qualche titubanza.
Effetti collaterali (di alcune malattie) per i quali non sono previsti antidoti efficaci, medici specializzati e assistenza domiciliare. Insomma, bisogna arrangiarsi… e rassegnarsi alle patologie cattive, soprattutto quelle croniche che picconano anche gli amori piĂ¹ rocciosi. Il consiglio di Amleto – date parola al vostro dolore se no il vostro cuore si spezza -, rischia di cadere nel vuoto e nessuno ascolta piĂ¹ le vostre lagne vittimistiche.
Per nostra fortuna non è sempre così. Anzi. La malattia fortifica, unisce, cementa, ecc, ecc. I piĂ¹ raffinati, inguaribili resilienti, assicurano che il dolore – che puĂ² sembrare , a prima vista, un inciampo – puĂ² addirittura trasformarsi in un gradino per salire sempre piĂ¹ in alto. Un trampolino. Un riscatto. Anzi, un ‘opportunitĂ di crescita… Per i malati e anche per i loro sfortunati contigui? Non è specificato.
Ma in ogni caso bisognerebbe distribuire flebo di santitĂ a chi sceglie con titanica (o cristiana) rassegnazione, di condividere il lungo cammino di sacrifici e privazioni con un malato e fargli sapere che si sta guadagnando un posticino, da qualche parte, in paradiso. Vista mare.