Mi chiamo Laura e ho sofferto di anoressia. Mi chiamo Laura e sono guarita dall’ anoressia. Questa è la mia storia
Di Laura Bazzarello
Mi chiamo Laura e ho sofferto di anoressia.
Mi chiamo Laura e sono guarita dall’anoressia.
Desidero raccontarvi di me, della mia esperienza, con la sincera speranza di poter essere di conforto a tutti coloro che provano solitudine e smarrimento in un labirinto che sembra essere senza via d’uscita, a tutte quelle persone che si sentono unicamente avvolte dal mantello di invisibilità che questa subdola malattia crea.
Fino all’età di diciassette anni ho vissuto in una bolla di sapone. L’insieme delle mie esperienze, fino a quel momento, mi avevano portato ad essere una persona solare, positiva, allegra e con un’immensa gioia di vivere.
Avevo il «meglio» e tutto il senso del mio mondo era racchiuso all’interno di quella bolla felice. Non avrei mai immaginato che da un momento all’altro sarebbe esplosa, facendomi precipitare nel buio più oscuro.
Ricordo ancora ogni dettaglio dei giorni in cui mia madre scoprì di avere un tumore alle ghiandole linfatiche chiamato linfoma di Hodgkins.
Ero un’adolescente, andavo alle scuole superiori e, fino a quel momento il mio unico vero problema era stato come vestirmi per uscire il sabato sera. Non ero preparata ad affrontare quell’uragano. Ma in fondo chi lo è?
Furono giorni interminabili, mesi terribili durante i quali la mia vita cambiò drasticamente e tutte le certezze che fino ad allora erano insite in me, si sgretolarono una ad una.
Mia madre guarì dopo un anno e mezzo e, piano piano, cominciai ad ammalarmi io.

Le persone intorno a me se ne accorsero immediatamente. Da ragazza spensierata e con un’immensa gioia di vivere, mi trasformai nello spettro di me stessa. Dentro sentivo che qualcosa stava mutando, ma il suo avvolgermi così stretta, mi lasciava incapace di reagire. Ogni aspetto della vita stava sfuggendo al mio volere e io trovavo rifugio solo e unicamente nel controllo del mio corpo, che però odiavo perché era l’involucro della mia infelicità.
Iniziai a desiderare di sparire dalla faccia della terra «tanto chi se ne sarebbe accorto?», mi domandavo.
Volevo diventare invisibile e l’unico modo per esprimere quel disagio, era quello di privarmi del nutrimento che mi avrebbe tenuta in vita.
Il mio corpo gridava laddove le parole non riuscivano ad uscire.
Fu un periodo molto triste perché iniziai ad allontanare tutte le cose belle che l’esistenza dona, per chiudermi in una triste solitudine.
Le cose cambiarono quando la mia migliore amica e i miei genitori, decisero di prendermi di «peso», facendomi capire che non avrei potuto continuare su quella strada. In quel momento avevo evidente bisogno di aiuto e loro mi dimostrarono che ci sarebbero stati.
Mi convinsero così, a fare una visita dietologica all’ospedale Luigi Sacco di Milano e, nel giro di qualche mese riuscii a risollevarmi da quella spiacevole situazione.
Da quel momento in poi mi sembrò di aver ripreso in mano parte della mia vita. Tuttavia, ciò che scava dentro lascia un segno profondo e, se non risolto realmente, torna a far visita…
Non passò molto, infatti, che ricaddi nella spirale vertiginosa della malattia, che, a differenza della volta precedente, mi avvolse in maniera totale fino a lasciarmi in fin di vita.
Bastò un amore sbagliato per farmi precipitare in quel circolo vizioso di pensieri aggrovigliati.
Fu in quel periodo che riscoprii quel mondo controllabile in cui mi ero rifugiata dopo la malattia di mia madre, un mondo dove niente e nessuno avrebbe potuto sottrarmi il potere di decidere per me stessa.
Ed è proprio così che l’imprevedibilità degli eventi, venne sostituita da un mondo misurato nel quale, in maniera del tutto illusoria, io avevo il pieno controllo.
Ricominciai a essere completamente distaccata da tutti i piaceri della vita, ma non solo, anche la sensazione di paura venne completamente annullata per lasciar spazio all’unico obiettivo rimasto nella mia mente: il pensiero di sparire.
Iniziai a passare intere giornate guardando ossessivamente l’orologio nella speranza che il tempo trascorresse e che portasse via con sé la mia tristezza, la mia solitudine e il mio senso di impotenza.
Tutti i giorni erano uguali e si ripetevano in maniera precisa con rituali di controllo accomunati dalla privazione che ogni mia azione comportava. Ogni giorno il mio cuore era sempre più lento e il mio respiro più flebile. Il divano verde del salotto aveva assunto la mia forma, tanto che iniziai a convincermi che mi sarei spenta proprio lì.

Niente sembrava bastarmi, niente sembrava distrarmi, qualsiasi parola pronunciata dai miei cari sembrava non aver senso. Solamente le lacrime che mi rigavano il volto emaciato davano una parvenza di vita alle mie giornate. La mia esistenza stava appassendo e con essa anche il mio corpo pallido.
Capii che era necessario l’aiuto di qualcuno quando mi resi conto che, anche quel controllo che avevo tanto ricercato e creduto di possedere, stava sfuggendo a ogni mia comprensione. La mia testa era invasa solamente da quell’ombra oscura che mi martellava il cervello con pensieri autodistruttivi e io non desideravo più scomparire per ciò che era stato il mio passato, ma perché non volevo più essere intrappolata in quel corpo fatto di ossa e in quella mente ormai del tutto soggiogata.
Era il 16 Gennaio del 2017 quando fui ricoverata all’Ospedale Niguarda di Milano. Da quel momento, la speranza riprese vita nei miei occhi.
Il viaggio introspettivo che ho affrontato nei mesi di ricovero è stato tutt’altro che semplice, tuttavia mi ha dato la possibilità di riscoprire parti di me stessa che avevo represso per anni e anche di conoscere lati del mio carattere che non credevo di possedere. Inizialmente è stato difficile accettare l’aiuto esterno di qualcuno, ma questo si è rivelato fondamentale per imparare ad accogliere tutte le mie sfaccettature, per lasciarmi alle spalle tantissime situazioni del passato che ancora mi facevano soffrire, ma soprattutto, per abbandonare, spero definitivamente, la malattia che credevo potesse essere il rifugio per ogni problema della vita.
Partendo dal presupposto che non bisogna mai abbassare la guardia di fronte a questo tipo di problematiche, mi sento molto più consapevole rispetto a prima. Ho conquistato l’equilibrio che tanto ricercavo, lasciandomi indietro i sensi di colpa e di inadeguatezza che mi impedivano di guardare al futuro. I «momenti no» capitano e capiteranno, oggi però ho imparato ad accoglierli come parte integrante della vita, accettando le paure, le tristezze, le debolezze e capendo che una nuova alba porta sempre con sé nuovi pensieri e anche un nuovo giorno da poter affrontare in maniera diversa dal precedente…