“Cosa farai a natale?” Una domanda solitamente scontata, ma non quest’anno. L’impossibilità di progettare il nostro futuro è un trauma.
Una domanda banale, a cui tutti avremmo saputo rispondere un anno fa. In trasferta da parenti lontani. A cucinare per quelli vicini. In viaggio verso il caldo o a sciare in alta quota. In solitudine per piacere, o a lavorare per dovere. Tutti, un anno fa, avremmo saputo rispondere, perché, che ci piaccia o no, il Natale è un rituale collettivo, un’abitudine rassicurante, un archetipo sociale e una tradizione. Il Natale è simbolo di rinascita e rinnovamento. Se chiudiamo gli occhi e pensiamo alle festività natalizie, probabilmente scorreranno immagini di tavolate, famiglie unite, clima festoso, convivialità tra amici e colleghi, code per acquistare regali, racconti dell’anno trascorso e progetti per quello futuro.
L’Impossibilità Di Progettare
Se riapriamo gli occhi e proviamo a rispondere a questa semplice domanda, probabilmente la risposta ad oggi (19 Ottobre 2020), sarà: «Non lo so». Un «non lo so» che non è espressione di una propensione all’organizzazione last minute, ma l’impossibilità di progettare a breve e medio termine. Uno degli effetti più pericolosi di questa pandemia.
«Non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare», diceva Seneca, perché l’essere umano è progettato per progettare. La pandemia sta togliendo la possibilità di programmare la propria vita, paralizzandoci in un presente che non sembra proiettato verso un futuro. Questa incapacità di esplorare le possibilità del futuro, in termini psicologici, è pericolosissima e va a sommarsi agli sforzi che gli individui stanno già facendo da mesi, per gestire il senso d’imprevedibilità di un contesto che non risponde più alle aspettative. Mi ammalerò? Riuscirò a guadagnare? Potrò vedere i miei amici? Potrò praticare lo sport che amo? Potrò andare a scuola? Potrò laurearmi? Potrò sposarmi? Non si tratta solo del cenone di Natale. L’impossibilità di progettare mette a rischio tutti i fattori di protezione sociale dell’individuo: amicizie, hobby, reti social, sport, incontri.
Un Fututro Imprevedibile
Una descrizione accurata di questo meccanismo di sopravvivenza si legge nelle pagine del libro Uno Psicologo Nei Lager, di Viktor Frankl, in cui s’illustra come le persone che abbandonavano i propri progetti, attaccandosi a ricordi del passato, erano quelle che morivano più facilmente nei campi di concentramento. Non occorreva avere piani a lungo termine («cosa farò una volta uscito da qui?»), ma bastava porsi piccoli obiettivi quotidiani, per avere la spinta ad andare avanti.
Homo Utopicus, così il filosofo Cosimo Quarta definisce la nostra specie, proprio per la capacità di non fermarci al dato sensibile e presente, ma di immaginare le infinite possibilità future e di prevedere quella che desideriamo. Questo processo si chiama progettazione. Questo processo è quello che ci differenzia dalle bestie. Non possiamo perderlo.
«Noi ci nutriamo di progettualità, perché salvifica. Siamo esseri in evoluzione per cui il mondo possibile, quello che riusciamo a immaginarci e progettare, è quello che offre la motivazione del presente. In questo momento, invece, viene presentificato un futuro imprevedibile e negativo e questo ha un impatto traumatico sulla psiche», sostiene Sara Roveraro, psicologa, psicoterapeuta ed esperta di EMDR, metodo psicoterapico legato al trattamento dei traumi.
Cosa Farai A Natale?
Ieri sera, mentre aspettavo il discorso del Premier Giuseppe Conte, pensavo alla potenza che aveva quel messaggio a reti unificate, che in pochi minuti ci avrebbe detto cosa avremmo e cosa non avremmo potuto fare oggi. Tralasciando ogni considerazione politica, questo è l’aspetto che manda in tilt molte persone: perdere il controllo delle proprie vite, soprattutto per quanto riguarda sfere intime e personali, come quelle relazionali e familiari. Perdere la sensazione del controllo è alla base di molte problematiche psicologiche. La definizione stessa di trauma è «evento negativo, inaspettato e improvviso, che fa perdere il controllo». «Per riprendere in parte il controllo – continua la Dott.sa Roveraro – è importante ricordare che è un’esperienza che abbiamo già vissuto pochi mesi fa e questo permette di recuperare dentro di noi quello che abbiamo già imparato; che è un trauma collettivamente condiviso e questo ci aiuta a sentirci meno soli, anche se isolati; ma soprattutto che è fondamentale mantenere la capacità di progettare, ricordandoci che tutto questo finirà. Non sappiamo quando, ma finirà».
Uno dei primi segnali di rinascita da patologie psicologiche, infatti, è il desiderio di programmare (un’uscita, un appuntamento con l’estetista, un viaggio) e questa sarà la nostra sfida motivazionale: essere flessibili e tenere accesa la lucina della progettualità, che è dentro di noi.
Alla domanda «Cosa farai a Natale?», quindi, continuiamo a dare una risposta. Probabilmente trascorreremo un Natale diverso, organizzando cenoni su Zoom o passeggiando per il parco della propria città, ma non facciamoci togliere la voglia di progettare, perché è l’unica cosa che ci permetterà di rinascere. In fondo ogni volta che viene tolto qualcosa, c’è la possibilità di riempire uno spazio lasciato vuoto.