Intervista a Carlo Cottarelli Commissario straordinario per la revisione della spesa pubblica durante i governi Letta e Renzi.
Cottarelli è un economista e professore, giĂ Commissario straordinario per la revisione della spesa pubblica durante i governi Letta e Renzi, Direttore esecutivo per il Fondo Monetario Internazionale, nonchĂ© Presidente del Consiglio incaricato nel maggio 2018. Attualmente è Direttore dell’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani dell’UniversitĂ Cattolica di Milano e Visiting Professor presso l’UniversitĂ Bocconi. Da alcuni anni affianca all’attivitĂ accademica quella di divulgatore. Con il Bullone dialoga di attualitĂ e futuro.
Innanzitutto, come sta?
«Sto come tutti e non tanto bene, ovviamente. Ho i miei alti e bassi e in questo momento siamo bassi, visto le notizie che arrivano».
Anche da economista?
«Da economista mi sento di dire che per lo meno abbiamo evitato la crisi finanziaria. Grazie ai fondi europei, abbiamo scongiurato la possibilitĂ che lo Stato non fosse piĂ¹ in grado di finanziarsi a tassi di interesse sostenibili. Certo poi rimangono sempre le altre crisi quella sanitaria, quella economica».
Ha parlato di fondi europei, arriveranno?
«I fondi europei sono giĂ arrivati. Ad oggi, lo Stato italiano è finanziato ogni mese della Banca Centrale Europea. Poi altri fondi dovranno arrivare, come quelli del Recovery Fund, dello Sure e del MES, se mai lo chiederemo. Non dobbiamo perĂ² dimenticare che quasi tutto il deficit pubblico italiano di quest’anno è finanziato attraverso acquisti di titoli di Stato fatti dalla BCE tramite la Banca d’Italia».
A proposito di Recovery Fund, è una misura davvero efficace?
«Se non lo avessimo, ci lamenteremmo di non averlo. Se sia efficace o meno, dipende da come useremo i soldi. Con il Recovery Fund verranno erogate cifre rilevanti, seppur non enormi, nel corso di cinque anni. Il grosso dei finanziamenti perĂ² non viene da lì, ma ancora una volta dalla BCE. In termini di acquisti netti di titoli di Stato, la BCE quest’anno ha erogato 170 miliardi e per il prossimo potremo aspettarcene ancora, magari fra i 100 e 150 miliardi. Attraverso il Recovery Fund saranno erogati in cinque anni 200 miliardi, che andranno ad aggiungersi ai fondi della BCE. Sono risorse estremamente preziose per l’Italia».
Le chiedo una previsione, saremo in grado di usare bene queste risorse preziose?
«Non so cosa dirle, ma spero di sì. Sicuramente non è una questione tecnica, ma di volontà politica. Bisogna smettere di litigare e organizzarsi».
C’è amarezza nelle sue parole. Lo ha espresso anche in un tweet in cui si diceva sconfortato dalla complessità e lunghezza anche degli ultimi DPCM…
«A parte la lunghezza dei testi, che potrebbero essere piĂ¹ semplici, c’è il fatto che non si capisce mai chi è il responsabile. Pensi alla questione delle terapie intensive. A marzo era previsto un aumento di letti in terapia intensiva superiore alle 3000 unitĂ , ora a stento, se ne hanno 1200 in piĂ¹. La cosa non mi stupisce, rientra nella persistente difficoltĂ con cui si muove la Pubblica Amministrazione».
La colpa non è del fatto che chi è al Governo non è all’altezza della situazione?
«Sì, ma questo è possibile perché non c’è abbastanza pressione da parte dell’opinione pubblica. Evidentemente le elezioni si vincono con promesse diverse dal far andare bene la Pubblica Amministrazione. Detto questo, è troppo comodo scaricare tutto sul Governo. Alla fine, siamo noi che eleggiamo chi sta al governo».
Quindi per lei il problema va oltre la macchina Stato?
«No, il problema è la macchina Stato. La domanda che io ponevo è diversa: perché non si riesce a sistemare la macchina Stato?».
Qual è la sua risposta?
«La mia risposta è che la macchina Stato riflette i problemi del Paese e nel Paese non c’è abbastanza volontà per cambiare. Siamo costantemente in attesa non di uno Stato che funzioni, ma di uno Stato che ci dia sussidi. Questo atteggiamento non aiuta l’economia e non aiuta la società ».
Non tutti perĂ² sono in attesa di sussidi. Come sottolineava in un suo intervento, la produzione industriale italiana dello scorso agosto è stata pari a quella dell’anno precedente. Gli italiani in tempo di crisi sanno dare il meglio di loro stessi?
«Stiamo dando il meglio di noi? Sì e no. Tanti danno il meglio, ma ci sono anche tanti furbi purtroppo».
Torniamo ancora su ciĂ² che è piĂ¹ attuale. Oggi siamo chiamati a coniugare economia e salute, l’economia sembra perĂ² prevalente almeno per alcuni…
«Il problema è che se si cura solo l’economia, alla fine quando la salute va male è la stessa economia a risentirne. L’aumento di morti e contagi crea incertezza e questo si riflette inevitabilmente sull’economia. Bisogna trovare l’equilibrio giusto, ma non è facile».
Non è facile, ma è possibile?
«No, non è possibile. Possiamo attenuare il problema, ma non eliminarlo. Certamente potevamo organizzarci meglio, ma abbiamo preferito cullarci nell’idea che non ci sarebbe stata una seconda ondata. E questo è successo in tutta Europa, negli USA, in Canada. Solo l’Asia sembra si sia salvata, forse perchĂ© pensano di piĂ¹ al futuro».
Forse la situazione dell’Asia non si deve solo alla sua lungimiranza.
«Certo, in Asia ci sono state restrizioni alla libertà individuale che da noi non sarebbero state ipotizzabili. Loro sono una dittatura e noi una democrazia».
Abbandoniamo il presente, per guardare al futuro. Fra dieci anni per i giovani italiani ci saranno buone prospettive?
«No, non sono buone. Sono vent’anni che non cresciamo e che i giovani se ne vanno. Negli ultimi dieci anni, 250mila giovani hanno lasciato l’Italia e continuerà così, se non invertiamo la rotta».
Quando pensiamo a giovani che emigrano, pensiamo anche ai ricercatori. Perché in Italia non si investe abbastanza in ricerca?
«PerchĂ© non è una prioritĂ . Il ruolo dello Stato italiano è dare sussidi oggi e non pensare alla crescita di domani. La ricerca dĂ effetti a lungo termine. In Italia siamo troppo presi da urgenze immediate e non guardiamo al futuro, questo crea un circolo vizioso: se non investiamo nella crescita, non cresciamo e quando si cresce meno è piĂ¹ necessario pensare al presente».
Cosa serve per cambiare?
«Meno burocrazia, una pubblica amministrazione efficiente e digitalizzata, piĂ¹ investimenti in istruzione e infrastrutture e una giustizia celere. Poi, dobbiamo impegnarci per creare una societĂ solidale, ma che non si basi sul sussidio per non far niente».
Per far tutto questo, non è necessario riscoprire il merito? Nel pubblico sembra un criterio dimenticato.
«In generale, in Italia c’è una scarsa considerazione per il merito. D’altra parte, il merito è giusto solo se ci sono punti di partenza uguali per tutti. Oggi non c’è uguaglianza nelle opportunità , quindi ha poco senso premiare il solo merito».
Riesce a spiegarsi meglio?
«Oggi ci sono notevoli differenze fra chi è nato in una famiglia ricca o povera, con genitori che hanno studiato oppure no, se è nato al nord, al centro o al sud. Con queste differenze, non possiamo premiare il merito, premieremmo le condizioni di partenza. Lo Stato deve dare il necessario per partire tutti allo stesso livello, non solo erogare sussidi, altrimenti nessuno si sforza per migliorare».
In alcuni ambiti è stato fatto.
«Sì, ma non a sufficienza. Pensiamo alla pubblica amministrazione. In questo ambito i premi sono erogati a pioggia, indipendentemente dalla bravura. Questo crea inefficienza».
Nel privato va meglio, anche se quando il privato entra nel pubblico non sembra portare sempre efficienza. Penso al ponte di Genova…
«Quello è stato l’esatto contrario di come devono operare pubblico e privato. Quando lo Stato si rapporta con il privato deve dare regole chiare, evitando di farsi influenzare da interessi politici. Non è pensabile che esistano concessioni di durata decennale con clausole contrattuali assurde, come nel caso di Genova che è stata una completa distorsione del rapporto fra pubblico e privato».
Sul fronte della chiarezza, sembra ci siano stati dei miglioramenti.
«Non si lasci incantare. Nella pubblica amministrazione c’è ancora poca trasparenza. I documenti pubblici sono difficili da leggere e il cittadino fa fatica a capire».
C’è la volontà di confondere il cittadino?
«No, è solo incapacità . Certo, poi visto che fa comodo essere poco trasparenti, di sicuro non si migliora».
Noi dobbiamo fare la nostra parte. Ha consigli?
«Io nel mio piccolo faccio il predicatore, sperando che la gente ascolti. Non so se ascolta».