Sandro Pertini interpretato dal Prof. Stefano Caretti (insegna Storia contemporanea all’Università di Siena. È autore di numerosi studi sul socialismo italiano. Membro della Commissione del Premio Matteotti. È presidente dell’Associazione Nazionale Sandro Pertini e vicepresidente della Fondazione di Studi Storici Filippo Turati)
Mai avrei pensato di intervistare Sandro Pertini. Sapevo che era un uomo alla mano, ma certamente non avrei creduto che potesse trovare del tempo da dedicarmi. Eppure, ecco lì. Mi sta aspettando sulla porta della sua casa natale. In una mano ha una delle sue pipe, nell’altra una mascherina, pronta per essere indossata. Mi avvicino. Vorrei stringergli la mano, ma non posso. Mi accontento di un inchino, lui fa lo stesso. Mi chiede com’è andato il viaggio e intanto mi fa strada all’interno della casa. Arriviamo in salotto, mi offre un amaro. Ho sbirciato l’etichetta, era Amaro Partigiano.
Perché ha scelto di tornare nella sua Liguria e proprio qui a Stella San Giovanni, suo paese natale?
«A causa del Covid, come molti italiani sono tornato nella mia terra natale. Qui a Stella ci sono tutti i miei affetti, c’è mia madre, figura principale nella mia vita, e poi è qui che sono nati i miei quattro fratelli. Mi è sembrata una scelta obbligata».
Vedo dietro di Lei due medaglie, una d’argento e l’altra d’oro. Le sono state assegnate per le sue gesta durante la guerra, vero?
«Come tutti i socialisti, ero contrario alla guerra. Quando scoppiò, a differenza dei miei compagni di università che erano quasi tutti interventisti e che poi si imboscarono, io non rimasi indifferente, consapevole che nella guerra morivano tanti braccianti e contadini. Nel 1917, andai alla scuola mitraglieri di Brescia e poi iniziai a combattere. Non ho mai nascosto di essere contrario alla guerra, nemmeno ai miei superiori e loro mi hanno sempre rispettato. Quella medaglia d’argento che vede si deve ad alcune gesta che, dicono gli altri, sono state valorose. Noti che mi fu consegnata solo negli anni ’50 con grande ritardo dovuto al ventennio fascista, essendo io un oppositore del regime».
E la medaglia d’oro?
«Quella medaglia si riferisce al mio ruolo nella Resistenza. Dopo 14 anni fra carcere e confino, ho partecipato alla Resistenza prima a Roma, – dove fui fra l’altro arrestato dai Repubblichini, condannato a morte insieme a Giuseppe Saragat e poi liberato, grazie a un’azione dei partigiani delle Formazioni Matteotti guidate da Giuliano Vassalli -, poi mi spostai in Piemonte e in Lombardia».
Dopo la guerra, ha partecipato a uno dei momenti fondamentali per la nostra Repubblica, l’Assemblea costituente.
«Sì, quello fu un momento davvero fondamentale. Le forze politiche hanno abbandonato qualsiasi contenzioso precedente e hanno collaborato insieme per un testo che conserva ancora oggi tutto il suo valore».
Eppure, molti spingono per una nuova Costituzione. Secondo lei, è opportuno?
«Purtroppo, leggo che mi si accreditano affermazioni che non corrispondono al mio pensiero. In alcune interviste negli anni ‘70 dissi che nella Costituzione potevano esserci degli aggiustamenti, ma mai cambiamenti radicali. Le confesso che sono contrario a qualsiasi rivoluzionamento».
Veniamo al Parlamento, che oggi sembra così distante dai cittadini. Che ne pensa?
«Questo è un tema da me affrontato già negli anni ’60, quando iniziarono a emergere i primi scandali legati al petrolio. In un discorso ai deputati, dissi che il Parlamento doveva essere una casa di cristallo trasparente e incorruttibile, perché avvertivo già un distacco fra Parlamento e cittadini. Per scongiurare questo rischio ci vuole maggior sensibilità, maggior attenzione e soprattutto un esempio per i giovani. Non a caso ritengo che la corruzione sia la principale nemica della democrazia. Di corruzione e rapporti tra etica e politica ho parlato anche recentemente, dando alle stampe il volume Il socialismo italiano tra due scissioni 1964-1969, edito da Pisa University Press».
Questo cattivo esempio non si ferma all’interno delle mura di palazzo, sono molti i momenti in cui i più adulti non sono un esempio per i più giovani.
«Il Parlamento riflette una situazione critica già presente nella società, società che negli ultimi anni ha avuto sempre più comportamenti negativi. D’altra parte, si hanno fasi di democrazia positiva quando l’economia va bene, mentre quando ci sono momenti di crisi, come le gravi crisi economiche, si affermano regimi totalitari e prevalgono le forze eversive di estrema destra. La Germania e l’Italia degli anni ’40 insegnano. In questo momento di crisi stiamo perdendo il valore della solidarietà, che ora più che mai sarebbe necessaria per combattere il Covid».
È stato da poco il 40° anniversario del terremoto dell’Irpinia, un’altra grande tragedia del nostro tempo. Cosa ci insegna per il Covid?
«Quarant’anni fa andai immediatamente in Irpinia e mi lamentai a gran voce per il ritardo nei soccorsi, ancora latitanti dopo 48 ore. Fu una vergogna! Solo grazie alla Protezione civile, di cui io favorii la nascita, si riuscirono in seguito a supplire carenze di questo tenore. Rispetto a quel tempo, oggi siamo più attrezzati. Per il Covid, c’è una grande mobilitazione sia per quanto riguarda le strutture, sia per le persone. Non dobbiamo dimenticare il grande sforzo di medici, infermieri e forze armate, per venire incontro alle esigenze di tutti».
Di fronte al Covid l’Italia è più unita rispetto al passato?
«Mi sembra sia più frammentata. Nel 1956 quando ci fu l’asiatica, il Paese fu veramente compatto. Come ha detto il mio collega, il Presidente Mattarella, ora noi soffriamo senza una dovuta collaborazione. Pensiamo al rapporto regioni-governo, ma anche alla speculazione politica. In questo periodo non si dovrebbe parlare di maggioranza e opposizione, come invece si sta facendo».
È proprio per questo suo modo di pensare che Lei è definito «il Presidente più amato dagli Italiani». Le piace questa espressione?
«Io ho amato gli Italiani. Gli Italiani sentivano che io ero loro vicino e questo grazie alla mia storia. Ogni leader politico può fare belle affermazioni, ma senza una storia personale, sono vuote. Io ho combattuto e ho pagato un prezzo alto, questo ha creato empatia. Durante uno dei miei discorsi di fine anno, dissi: “Se fate brindisi fatene uno anche per il vostro presidente che vi ama tanto”. Sa cosa è successo? Ogni Capodanno, tanti italiani mi scrivono ancora di aver brindato per me. Pensare che prima quei discorsi non erano nemmeno seguiti!».
Ora ho una curiosità. Questo inverno andrà ancora a sciare con Papa Wojtyla?
«Le dico solo che se va a riprendere il filmato del primo incontro fra me e Papa Wojtyla, il Papa mi si è avvicinato e mi ha abbracciato. Credo che questo non si sia ripetuto nella storia. E ricordi che io sono ateo. Comunque, Papa Giovanni Paolo II ed io siamo d’accordo che, alla prima occasione, torneremo insieme sull’Adamello».