Violenza, abusi, discriminazioni: le donne continuano a essere vittime in un mondo di uomini. Ne abbiamo parlato con Giussy Barbara, specialista in Ginecologia e Ostetricia che opera al Soccorso Violenza Sessuale e Domestica della clinica Mangiagalli di Milano.
Dottoressa, le violenze domestiche aumentano, perché?
«Dai dati nazionali e internazionali è chiaro che in epoca Covid, specialmente in lockdown, la violenza sulle donne è aumentata; le chiamate alle helpline nazionali sono più che raddoppiate. La casa non è un posto sicuro per una donna maltrattata e la costrizione nelle mura domestiche non fa diminuire la violenza. Quello che abbiamo notato in SVSeD è invece una forte riduzione degli accessi, circa il 50%, rispetto allo scorso anno. Questo dato non va letto come diminuzione delle violenze, ma è una chiara dimostrazione di come le restrizioni contro la pandemia abbiano impedito alle donne di chiedere fisicamente aiuto. Ci sono poi altre chiavi di lettura, ad esempio che il maltrattante, avendo costantemente sotto controllo la propria vittima, abbia avuto meno motivi di escalation di violenza fisica: il nostro è un servizio collocato all’interno di un ospedale connesso a un pronto soccorso, per cui spesso molti dei nostri accessi avvengono per percosse fisiche, inoltre in quei mesi c’era molta paura ad andare in ospedale e forse la collocazione del centro all’interno dell’ospedale ha spaventato».
Parliamo di violenza psicologica.
«La violenza in famiglia è in primis violenza psicologica: non c’è mai un maltrattamento fisico senza che ce ne sia anche uno psicologico, può esserci invece una violenza psicologica senza che si arrivi mai a quella fisica.
È violenza sulle donne la denigrazione, l’umiliazione, la svalutazione continua da parte di un partner. È violenza il controllo economico. Stiamo facendo come SVSeD, in collaborazione con l’Università degli Studi di Milano, una ricerca su quanto il controllo economico incida sui maltrattamenti; la violenza economica di donne che vengono, per esempio, indotte o costrette ad abbandonare il proprio lavoro, costrette a un controllo capillare delle spese, o che lavorano e mantengono i propri compagni che hanno il controllo totale del loro stipendio. Ci sono tante forme di violenza, non dobbiamo esclusivamente pensare alle botte o al femminicidio».
Quanto più influire la dipendenza economica in una situazione di violenza? Ed il Gender Gap sociale?
«Per una donna intraprendere un percorso di fuoriuscita dalla violenza è un importante momento di rottura, che necessita di alcuni punti fermi come l’autonomia, soprattutto economica. La dipendenza economica può essere un forte freno nel raggiungimento di un’autonomia. Il gender gap meriterebbe poi un approfondimento più critico: le donne a parità di impiego guadagnano molto meno degli uomini e lavorano molto di più, questo è significativo.
Dopo il lockdown ci aspettavamo un forte ritorno delle richieste di assistenza, ma non c’è stato; significa che in una situazione di instabilità, incertezza economica, ma anche psichica, come quella portata dal covid, prendere una decisione così forte come rompere una relazione con il proprio partner maltrattante, già molto impegnativa e dura, diventa ancora più difficile, specialmente se si è perso il lavoro o si è in cassa integrazione».
Può essere difficile riconoscere la violenza?
«Molto, specialmente all’inizio di una relazione. Questi uomini non sono sempre stati violenti nei confronti della donna, altrimenti nessuna accetterebbe mai di stare dall’inizio con un uomo che la maltrattata, la picchia, la denigra. Il ciclo della violenza è stato ben esposto dalla psicoterapeuta Lenore Walker, che descrive le fasi attraverso cui si instaura una relazione maltrattante. All’inizio questi uomini sono molto seduttivi, vengono percepiti come il Principe Azzurro; una seduzione malata e perversa. Possono esserci da subito dei segnali d’allarme, come un’eccessiva gelosia, volontà di controllo, che inizialmente può essere scambiata per dedizione: “Non uscire con le amiche, lascia il lavoro, stiamo insieme, penso io a te…”. Tutte queste sono delle strategie che tendono a isolare la partner da contesti sociali, familiari e lavorativi esterni. Pian piano si arriva alla fase dell’escalation della violenza, in cui vi è un crescendo di tensione, qui comincia la paura, il tentare di modificare i propri atteggiamenti per evitare che scattino scintille, fino a che prima o poi si arriva all’episodio di vera e propria violenza fisica e verbale, seguita in genere dalla fase luna di miele, in cui lui cerca il perdono, ma è un perdono non sincero che implica una giustificazione di quello che è successo e una colpevolizzazione della donna. La donna, innamorata, spesso è portata al perdono, l’uomo promette che cambierà. Questo ciclo può ripetersi diverse volte per molti anni».
Quanti sono i casi non denunciati?
«La maggior parte, il sommerso purtroppo è enorme. Le casistiche riportano che circa 1/3 delle donne subisce nel mondo una qualche forma di violenza; per fortuna la maggior parte degli uomini non è così».
Come educare alla parità?
«Bisogna agire fin da subito, nelle scuole primarie, negli asili. Educare alla parità di genere, abbattere gli stereotipi che purtroppo ancora esistono e sono presenti nella società e nei bambini già da piccoli. Interventi di sensibilizzazione nei luoghi di lavoro, nelle società sportive, ma soprattutto nelle scuole. La parità si impara fin da bambini».
E a livello politico quali azioni si possono intraprendere? In Quebec nel 2006 è stato reso obbligatorio il congedo parentale anche per i papà, aumentando così la partecipazione degli uomini al lavoro domestico e quella delle donne al mercato del lavoro.
«Credo che sarebbe una soluzione assolutamente efficace che potrebbe portare dei miglioramenti sostanziali. È chiaro che estendere il congedo parentale anche agli uomini è il primo passo verso una parità lavorativa che sino a questo momento non c’è».
Nel mondo c’è poca rappresentanza politica delle donne, che occupano solo il 25% degli incarichi; il potere in mano agli uomini fa pensare poco alle donne?
«Assolutamente; il potere è fortemente maschilista e cerca in ogni modo di far tacere le voci della minoranza femminista che mira alla parità. È chiaro che si tende a mantenere uno status quo proficuo per una fetta importante della popolazione che in questo momento detiene il potere, non sarà per sempre così».
Il 25 novembre, Giornata nazionale della violenza contro le donne, è stato lanciato lo slogan «Non sei sola» Cosa direbbe a tutte le donne che non denunciano?
«Che è un percorso sicuramente arduo, ma ce la possono fare. Non sono sole perché ci sono molti professionisti che possono aiutarle; la nostra associazione SVSeD offre a tutte le donne che decidono di denunciare il proprio maltrattante, un’assistenza legale gratuita, civilista e penalista. È difficile trovare la forza di farlo, ma è necessario».