Giuliano Torrengo è filosofo ed esperto dalla filosofia del tempo, nonché fondatore e coordinatore del Centro per la Filosofia del Tempo, presso il Dipartimento di Filosofia dell’Università degli Studi di Milano, ateneo dove è anche professore associato. Al Bullone racconta le sue indagini sulla natura del tempo e la sua percezione.
Che cos’è la filosofia del tempo?
«Sin dall’inizio della filosofia, troviamo riflessioni su cosa sia il tempo e quale sia la sua natura. La filosofia del tempo si occupa proprio di indagare la natura del tempo. Per farlo, si pone varie domande, alcune più fondamentali di altre».
Quali sono queste domande?
«Possiamo distinguerne due centrali. La prima riguarda lo status metafisico del tempo: ci si chiede se il tempo esista indipendentemente dalla nostra esperienza, o se invece esso sia dipendente dal nostro vivere. La seconda è se esistano cose al di fuori del presente. Passato e futuro hanno lo stesso livello di esistenza del presente?».
Queste domande non animano solo il dibattito filosofico. Penso alla fisica…
«Sì, entrambe le domande hanno connessioni con ambiti diversi dalla filosofia. Da un lato troviamo la fisica che descrive gli elementi della realtà coinvolgendo anche aspetti temporali, soprattutto in relazione all’unicità del tempo. Dall’altro, abbiamo la psicologia che indaga la percezione del tempo e il perché esso viene concepito intuitivamente come una realtà fissa nonostante non sia così».
La fisica e la psicologia hanno già trovato delle risposte. La prima è netta nel dire che non esiste un tempo fisso, mentre la seconda è chiara nello spiegare come la diversa percezione del tempo sia frutto della nostra esperienza. Non possiamo essere soddisfatti delle risposte che già abbiamo?
«No, dobbiamo andare oltre. In primo luogo, perché la filosofia è il mezzo con cui fisica e psicologia dialogano. Queste due discipline possono dialogare solo grazie all’indagine filosofica. Inoltre, il ruolo della filosofia è cruciale perché la domanda sulla realtà del tempo non può essere indagata né dalla fisica né dalla psicologia. Per indagare la realtà del tempo, e tutti gli aspetti di cui questa si compone, è necessario servirsi degli strumenti propri della filosofia».
Anche per la filosofia il passato è inaccessibile e il futuro tutto da scrivere? È solo una nostra convinzione?
«Siamo portati a concettualizzare il passato come determinato in tutti i suoi aspetti, mentre pensiamo al futuro come indeterminato, aperto e condizionabile dalle nostre decisioni. Questo ci porta ad assumere dei comportamenti specifici. Pensiamo al fatalismo che è spesso connesso con l’inoperosità».
In effetti, se si pensa al futuro come già scritto, perché dovremmo impegnarci?
«Pensare al futuro come aperto non significa squalificare il nostro ruolo».
Si spieghi meglio…
«Non dobbiamo pensare che il fatto che il futuro non sia oggettivamente indeterminato significhi che non abbiamo un ruolo su come il futuro sarà. Se pensiamo che non ci sia una differenza oggettiva fra presente, passato e futuro, non possiamo pensare che ci sia una differenza in termini di determinazione. Detto ciò, il fatto che il futuro sia ugualmente determinato rispetto al passato, non significa che non possiamo fare nulla. Potremo fare quello che nel concreto faremo».
Vale davvero la pena di speculare sul concetto di tempo? Non è meglio impegnarsi a viverlo?
«Riflettere sulle cose significa vivere. Riflettere sul tempo significa vivere in un determinato modo, quindi vale la pena di riflettere sul tempo perché questo ci porta a vivere e a vivere in una certa maniera».
Riflettere sul tempo ci porta anche a gestirlo meglio?
«Sicuramente ci porta a gestirlo in una maniera diversa».
Veniamo all’oggi: molti hanno detto di aver riscoperto il valore del tempo grazie alla pandemia. Non abbiamo invece riscoperto la noia?
«Ci sono due temi distinti. Una cosa è il tenere traccia del tempo passato da un certo evento, altra è la sensazione di quanto sia passato da quell’evento. Questi aspetti normalmente vanno insieme, ma la situazione straordinaria della pandemia ha fatto sì che questi due meccanismi andassero fuori binario».
In che senso?
«Basti pensare ad affermazioni come “i giorni non passano mai, ma le settimane volano”, o ancora “il lunedì dura tantissimo, ma è già domenica”. Situazioni del genere esistevano già prima della pandemia, ma con essa sono stati amplificati. Il tenere traccia del tempo e il percepirlo non stanno più insieme. Non sappiamo tener traccia del tempo, ma la sensazione è che scorra lentissimo».
Tornando alla noia, cosa ne pensa?
«La noia come situazione ordinaria è una cosa a cui non eravamo abituati. Prima del Covid gestivamo la noia in maniera diversa con più opportunità per fuggirla. Ora invece fatichiamo a trovare distrazioni. Questa esperienza ci può impartire una lezione positiva. Forse, scappare alla noia non è sempre una cosa buona. Affrontare la noia può essere un’occasione per arricchirci».