la tragedia Luca Attanasio commentata da Carlo Baroni

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Di Carlo Baroni

Lui camminava nell’ombra. Per questo adesso la sua luce quasi ci abbaglia. La sua ombra non erano le tenebre, ma il restare al riparo dal sole della vanagloria. La gente come lui non finisce sui giornali e non pontifica nei talk show. La sua mano destra non sapeva cosa faceva la sinistra. La gente diversa ci sembra strana, idealisti senza più utopie.

Sono il sale di questa terra arida. Luca Attanasio era un ambasciatore. Senza mostrine e né spocchia. Non organizzava cocktail ai bordi della piscina per intrallazzarsi i potenti del posto. Perché l’ambasciatore è un ponte. L’uomo dell’incontro. È quello che prende e va. Luca faceva così. In quell’Africa che per chi è generoso è sempre e ancora un posto prediletto. L’epicentro delle contraddizioni della parte ferita del mondo mentre l’altro si piange addosso, sempre steso sul lettino dello psicanalista.

Altruisti si nasce. Quasi non si potesse essere altrimenti. Luca non aveva bisogno di raccontare il bene che faceva. Gli veniva naturale. In quella terra dove persino ai bambini mettono in mano un fucile, lui ci provava con quaderni e matite. Il cibo veniva dopo. Una rivoluzione silenziosa che non avrebbe cambiato niente. Ma che importa? 
Aveva sposato Zakia, una ragazza marocchina, senza stare a disquisire su culture e religioni differenti. Si era innamorato e Zakia era la donna della sua vita. Non c’erano messaggi da lanciare al mondo, bastava l’amore. E lei l’aveva seguito in tutto. Anche in quel suo distribuire il bene come fosse la cosa più naturale da fare. Gli veniva facile a Luca. Restava sempre il volontario cresciuto all’oratorio. Dove tutti sono uguali, ma ognuno va trattato in modo diverso.

E allora ti chiedi come si può fare del male a uno così? Come si può ucciderlo? E forse la risposta sta proprio nella domanda. Uno così è quello che dovremmo essere e non siamo. Non ne siamo capaci. È lo specchio che ci rimanda l’immagine limpida che nascondiamo. 
E come ha ricordato l’arcivescovo di Milano, Mario Delpini, Luca non deve pensare di aver lasciato incompiuta la sua opera. Come scriveva un poeta inglese di lui si dovrà dire: «Ragazzo scaltro, sei fuggito per tempo dai campi dove la gloria non si ferma… Ora tu non andrai a raggiungere la schiera dei ragazzi il cui tempo degli onori è svanito, corridori che la fama ha superato e il nome muore prima dell’uomo».


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