Il Libro a Staffetta X – I detective Riccardo e Lapo alla ricerca della madre fantasma

Autori:
Illustrazione di Giulia Pez
Illustrazione di Giulia Pez

Il riassunto dei primi nove capitoli

Lapo e Riccardo sono due amici. Riccardo vuole scrivere un libro ma si blocca davanti al foglio bianco. Lapo lo prende in giro mentre camminano per Milano. Riccardo racconta di un incontro al semaforo tra via Santa Sofia e corso Italia con una bella ragazza dagli occhi verdi e i capelli neri. Lapo corre in soccorso dell’amico e con un’app di tracciamento riesce ad individuare la misteriosa ragazza con un borsone nero. Un borsone che usano le ragazze che vanno all’Accademia della Scala. «Trovata, si va» dice Lapo all’amico.
La ragazza si chiama Matilde. Matilde viene inseguita dai due ragazzi e corteggiata fino alla stazione. Riccardo, Lapo, Matilde parlano di tutto, anche di Puccini e Pavarotti. Ma a un certo punto Matilde sembra di scorgere tra la folla sua madre. L’ombra della madre ferma sul più bello Matilde mentre si avvicina a Riccardo per il primo bacio.

Di Francesca Filardi

Riccardo, proprio in quel momento aveva deciso di afferrare la forchetta per iniziare a mangiare. Fino a quel momento continuava a non capire e a chiedersi cosa avesse, ancora una volta, sbagliato. La colpa era sua, incapace di intraprendere relazioni, nonostante il suo romanticismo, o forse era Matilde
ad essere troppo strana? No, questo era impossibile. Quell’anima così bella quanto fragile non poteva macchinare nulla di strano ma soprattutto di cattivo. «È vero, alla fine non la conosci per niente» continuava a ripetersi nella testa, «non sei mai stato troppo bravo a capire le ragazze e ora cosa fai? Ti senti
Mel Gibson in «What women want?». Però, ora, con quella richiesta, fatta proprio a loro, si sentiva ancora di più e profondamente disorientato dal comportamento di quella ragazza. Con lei ormai stava diventando una routine: l’attimo prima sembrava di essere riusciti a varcare quel muro, mentre, subito dopo, ti trovavi davanti la muraglia cinese, resistente e impenetrabile.
Così, anche questa volta. Poco prima, tra le lenzuola del suo letto e in una stanza già scaldata a sufficienza dai loro corpi e sguardi, un attimo dopo, così freddi da sembrare quasi degli sconosciuti. In effetti, era proprio così. Lo erano. Non sapevano molto l’uno dell’altro, se non delle tartarughe lasciate libere nel laghetto di uno e dell’altro di una danzatrice, che a ogni passo faceva seguire un’ombra dietro di sé, quasi a nasconderla, come se già non lo facessero abbastanza i suoi sempre larghi vestiti, indossati e scelti quasi a voler coprire quell’esile corpo e a camuffare difetti inesistenti. Anche Lapo, che ormai lo conosciamo, sempre molto più sul pezzo e pronto, in quel momento, non lo era affatto per poter aiutare la ragazza, unicamente intento a cercare di non far raffreddare troppo la sua pasta al sugo ancora fumante. Quel piatto, che sicuramente non era stato cucinato con amore e passione, ma almeno non era l’ennesima pizza arrivata fredda dalla consegna di un rider.
Matilde, come sempre nel suo mondo, con questo unico pensiero che le occupava totalmente la mente, e noncurante minimamente di cosa quei due avessero potuto pensare, improvvisamente se ne uscì con un: «Lapo, scusa, tu mica stavi lavorando ad un App per cercare di rintracciare persone? Ecco, sperimentiamola! Fai finta io sia la tua prima acquirente…». Poi ancora, ma rivolgendosi verso l’altro amico, «e tu, invece, Riccardo, vuoi iniziare o no a macchiare quel foglio bianco? Potrebbe aiutare anche te a far prendere forma alla tua storia! Allora che dite?». Nessuno l’aveva mai vista così decisa e ne rimasero colpiti.
Allora Lapo, che amava passare da una cosa all’altra, un po’ come i suoi studi, sobbalzò dalla sedia e con una nuvola di fumo che dava l’aria di avventura, quasi fosse il capitano di una nave, esclamò: «allora chi cerchiamo?».

Riccardo, uscito dal suo isolamento di pensieri e mai così tanto sceso sulla Terra, senza neanche dar tempo a Matilde di rispondere, riuscì a ribattere solamente: «ok, raga ma fra un po’ ci richiudono tutti».
«Meglio, sarà più facile incastrarlo!”, rispose subito, sempre più entusiasta, l’amico, «Missione iniziata!»
L’unica spiegazione che si era dato Riccardo dell’accaduto di poco tempo prima era che la ragazza era coinvolta sentimentalmente da un altro ragazzo e, quindi, pura com’era, non era riuscita ad andare avanti con lui. Ora però non poteva addirittura chiedergli di trovarlo. Mosso quasi da una mozione di gelosia mista a inferiorità per non essere riuscito a conquistare quegli occhi verdi, si sentiva solo di poter mettere i bastoni tra le ruote. Al contrario, Lapo, quasi soddisfatto, non si sa se più dall’essere coinvolto in qualcosa che lo motivava in quel momento o più dal godimento di quella strana e un po’ scomoda atmosfera che si percepiva nell’aria, cercava di dar seguito all’assurda impresa. Matilde timidamente sussurrò: «cerchiamo una donna, mia madre…» I tre si guardarono e, per la prima volta, si sentivano che stavano condividendo e occupando lo stesso spazio. Iniziavano a sentirsi davvero sotto lo stesso tetto, conviventi in una stessa casa, ma soprattutto, parte di una stessa famiglia, che forse e in realtà, a tutti realmente mancava. Un attimo di silenzio e Riccardo chiese dubbioso, ma in realtà molto più rasserenato: «scusa ma in che senso trovare tua madre? L’abbiamo già fatto, era in Gae Aulenti…» Lapo, molto più pratico rispetto agli altri due suoi compagni di squadra, senza neanche aver sentito quest’ultimo commento, si era avventato in camera sua a smanettare sul suo dispositivo e a cercare nelle note e appunti che aveva buttato giù i giorni passati, come mettere in moto e in funzione la sua invenzione. Intanto, i due erano rimasti ancora soli, stavolta non in camera. Matilde aveva sentito bene la domanda e l’affermazione di Riccardo, ma in effetti, non sapeva cosa mai potesse risultare una risposta soddisfacente.

Francesca Filardi, illustrazione di Chiara Bosna

Neanche il tempo di ricreare quell’intimità, che meritava una simile risposta, che Lapo ritornò da loro, interrompendo, forse anche un po’ di proposito, quell’imbarazzo, e con il form d’identikit aperto sul suo display, lo mostrò alla coppia: «allora, ragazzi ditemi: età, colore di capelli e occhi, segni particolari; quando e dov’è l’ultima volta che l’hai vista, ricordi, insomma, qualsiasi elemento che ti possa venire in mente utile alla nostra indagine!». Sembrava essersi immediatamente trasformato da marinaio del web in un vero investigatore.Matilde ebbe subito la sensazione di non sapere bene in cosa si era cacciata, avvertiva l’odore di un guaio, sicuramente riconosceva la paura. Paura di ricordare, di rischiare, di scoprire, ma soprattutto, di rimanerci male. Un ennesimo dolore che non era in grado di tollerare. Un cambiamento che non l’avrebbe più riportata indietro, alla sua attuale vita, intrappolata in un passato, che non l’avrebbe aiutata neanche per un futuro più nitido. La paura di avere aspettative, di scontrarsi con una realtà che per lei era sempre stata così dura, cruda e difficile. La paura, però, si sa, fa leva su tutto ciò che è fragile ed è come un mostro che non puoi lasciarlo crescere, ma va affrontata. In fondo, tutto è governato dalla testa e l’assenza della possibilità di ricordare porta a una prigione mentale ben superiore a quella fisica.

Il suo rigore e la sua disciplina, però, apprese dalla danza e, insieme, dagli insegnamenti della sua unica e vera maestra e guida, la nonna Mimì, non le permettevano neanche di provare a dare spazio e ad ascoltare tutte insieme queste emozioni, che la stavano allontanando dall’unica dimensione che bene conosceva e ricordava: il non sapere. Così, mentre quel suo giudice interiore aveva già espresso così tanti giudizi che avevano solamente il suono di una sentenza già data e di una condanna senza ritorno, riuscì a sussurrare ai due amici e sconosciuti: «Riccardo sa già tutto perché l’ha vista, sono certa che lui potrà già fornirti queste informazioni; quindi, ora uscite, andate già sul campo, prima che non ci consentano più di farlo… io ora mi cambio e vi raggiungo subito. Dai, forza! vi chiamo tra poco!». Senza neanche avere il tempo di realizzare, i due vennero letteralmente accompagnati alla porta e cacciati da colei che forse meno aveva l’autorità di poterlo fare. Eccola quindi nuovamente sola, la dimensione a lei più familiare e nella quale trovava reale dimora. Per non farsi bloccare nuovamente da quella serie di duri pensieri, andò nella sua camera, quasi a non voler ammettere, neanche a sé stessa, che era lì che voleva davvero arrivare.

Troppe percezioni tutte insieme non le permettevano di stare in quel mondo ora e insieme agli altri. Fin da bambina si era creata una dimensione interiore, altra, esterna a tutto e tutti; l’unica protezione che percepiva era proprio data da quell’esile corpo che nonostante la sua fragilità era l’unica forza e l’unica certezza che si sentiva sempre di poter controllare, nonostante i tanti imprevisti della vita. Ora, sola, davanti allo specchio, vedeva però un corpo diverso. Un corpo che se da un lato l’aveva protetta, l’aveva anche ingabbiata, in quegli attimi di violenza subita. Ora, dopo quello sfiorarsi di corpi con Riccardo, avvertiva una strana percezione, di un corpo che poteva essere oggetto di desiderio, ma di un desiderio nuovo, puro e pulito. Di riflesso, anche lei si sentiva più bella e di conseguenza più sicura e decisa, perché forse è solo iniziando ad accettarsi e a volersi bene che lo faranno veramente anche gli altri. Nello stesso tempo lei non era solo corpo; non era più neanche quella bambina o forse non lo si era mai sentita: già sempre adulta e genitore di sé stessa e di una mamma improvvisata; nipote ma non figlia.
Prima di agire e poter crescere, però, doveva capire quali fossero le sue paure o pentimenti. Scelte che nascono perché l’inconscio è mosso da queste, ma non sempre dettato da buon senso, che in quel momento aveva un’unica voce: quella rauca e tremolante di sua madre.

Nel frattempo, i due detective fuori incrociavano dati, analizzavano mappe, senza farsi troppe domande, né a loro stessi né tra di loro, collaborando quasi fossero un’unica persona.
Mossi da questo potente motore, arrivarono davanti a un edificio che aveva l’aria di una scuola. Fu
qui che i due amici si sdoppiarono: «Vedi Lapo, abbiamo sbagliato tutto. Cerchiamo una mamma non
una ragazza!»
Lapo, per non ammettere il fallimento e non avere la percezione di aver buttato il suo tempo, si difese: «Non ti facevo così indietro amico. Non sai che esistono studenti più avanzati di età, alla fine anche noi non siamo più così piccini e poi non hai mai sentito parlare di Università della terza età?»
Ma la vera demoralizzazione di Riccardo era un’altra e ben più profonda: e se Matilde avesse problemi di memoria? I primi allarmi sono mancanza di attenzione, disorientamento, problemi di personalità. Ciò giustificava anche il comportamento, in camera da letto, in stazione, al parco e in strada, di quella
ragazza, appena conosciuta.
Durante i momenti di studio che aveva avuto, più che dall’economia, in effetti, era stato molto più coinvolto dagli esami opzionali di psicologia, senza porsi mai troppi problemi di aver fatto un errore di scelta, proprio lui che, più che i numeri, forse amava scrivere. Senza esprimere ad alta voce il suo giudizio e la sua analisi guardò Lapo e disse: «Vabbè, adesso comunque è tardi e di certo è chiusa quindi torniamo a casa e portiamo i nostri primi risultati a Matilde che, tra l’altro, non capisco come mai non sia ancora qui con noi».

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