La guerra di Paola riparte dopo un «Hai vinto!»

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Di Paola Gurumendi

Agosto 2020, controllo pediatrico: è tutto a posto, possiamo procedere con il passaporto di guarigione. Dopo 16 anni i medici dell’Istituto dei tumori di Milano mi confermano ciò che desideravo: «HAI VINTO!», scoppio in lacrime tra le braccia dei miei genitori, «CI SIAMO RIUSCITI!».

Purtroppo la gioia non dura, tra il covid e tutti i caos negli ospedali, non ero riuscita a fare un’ecografia, sentivo che qualcosa non andava, corsi in Istituto per chiedere aiuto, grazie a Dio quel giorno mi è stato programmato tutto con urgenza, però prima del 7 ottobre non c’erano possibilità.

Pregavo che fosse solo uno spavento, qualche giorno dopo il mio trentesimo compleanno arriva quella telefonata che non avrei mai voluto ricevere, soprattutto perché nel frattempo mi ero contagiata di Sars-Cov 2 ed ero completamente sola. «Paola c’è qualcosa che non va, dobbiamo approfondire».

Il mio mondo si ribalta: caos assoluto, non posso abbracciare i miei genitori, una montagna di fango mi travolge, buio totale. Passano due settimane e divento negativa, iniziano gli approfondimenti: esami tra esami, lunghe giornate d’attesa; non volevo, non potevo perdere le speranze.

Così dopo due mesi arriva la prima visita e la conferma peggiore: «tumore maligno al 2° stadio», le lacrime scendono senza fermarsi, sentivo la voce del medico da lontano che ripeteva «mi dispiace»; volevo morire, non erano bastati 16 anni di cure per il primo tumore, ora dovevo affrontare un’altra battaglia, la mia guerra non era finita e io non avevo più forze. Non c’era un perché, né un percome, l’unica cosa di cui ero consapevole era il danno che la pandemia aveva creato nel mondo oncologico e sicuramente non ero l’unica a trovarsi svantaggiata. A questo punto erano due le strade: o combattere, o farlo vincere. Passai lunghe notti a farmi mille domande, a documentarmi sulle cure, l’alimentazione, i motivi, le conseguenze, leggevo e rileggevo i referti di ogni visita, fino a che un giorno dissi «Basta!», e iniziai a concentrarmi su ciò che avevo e non su ciò che avrei perso.

Ricordo che una mattina mi venne proposta una valutazione genetica: non ci pensai due volte e decisi di affrontare anche questa realtà, ormai non avevo niente da perdere, tutto ciò che mi ero costruita mi aveva lasciata con un pugno di mosche in mano. Una dottoressa molto carina e gentile mi spiegò tutta la procedura e, cosa più importante, i rischi che il risultato avrebbe provocato alla mia vita. Non potrò mai spiegare il dolore e la paura che l’attesa di questo esame mi provocò, proprio in quell’attesa scelsi di lasciar andare una persona molto importante per me: ho preferito non trascinarmi dietro nessuno, anche se ciò significava perdere; il mio dolore non doveva essere dolore di altri. In tutti questi mesi ho deciso, insieme alla mia famiglia, di non far sapere a nessuno della malattia, non avevo nessuna intenzione di affrontare gli altri, non avevo le forze per aiutare tutti a superare la notizia. Le cure sono iniziate a dicembre: il percorso è lungo, i capelli sono già caduti, i miei occhi hanno perso la luce, però non la voglia di guardare il viso delle persone che amo. La chemioterapia fa male, detesto dover mangiare e sentire il sapore del farmaco, o passare le giornate a letto perché sono troppo stanca, quando posso mi rifugio in qualche bel libro, un film, nei miei sogni. Pochi giorni fa mi viene riferito che la chemioterapia non sta funzionando come dovrebbe: si blocca tutto, altri esami, altro caos e io? Alzo le mani al cielo, scuoto la testa e non ci penso: alla fine saranno i medici a capire come muoversi. La vita mi sta veramente mettendo alla prova, sono a pezzi, non tornerò mai come prima, in me è morto qualcosa. Userò ciò che rimane cercando di far tesoro di tutto questo dolore per essere almeno «una bella persona», in fondo ho imparato a vivere in questa guerra, in questo mio mondo al contrario. So che un giorno arriverà il momento in cui mi sentirò felice di aver sofferto così, perché quella sofferenza mi farà diventare un essere migliore, tornerò a sorridere e sorriderò davvero, in fondo non si guarisce dimenticando, ma accettando ogni situazione.

«Sono quella che la forza se l’è fatta venire perché non c’era altra scelta»

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