8 marzo 2021, giornata internazionale dei diritti della donna.
Incontriamo online tre donne alle quali chiediamo di raccontarci il loro essere oggi nella società.
La prima è Enrica Tesio, blogger e scrittrice torinese, che si descrive così: «Ho tre figli, due gatti, un mutuo, un affitto, un amore, spero l’ultimo perché sto invecchiando». L’headline del suo blog recita «Prima o poi l’amore arriva e ti incula» e da qui schiere di donne traggono spunti, trovano conforto e ridono molto. Scrivendo si racconta, si espone in prima persona, lava i panni sporchi su pubblica piazza, lo fa in maniera ironica e vera, facendoci tirare un sospiro di sollievo per tutte le nostre imperfezioni e inadeguatezze.
Prima o poi l’amore arriva e ti inc…
Parla soprattutto di cosa vuol dire essere madre. Una madre single, che impara sbagliando, che osserva, dà spazio, cerca una chiave, prova a sopravvivere nella giungla dell’«universo figlio». Quando le chiediamo cosa ne pensa delle critiche alle donne che pubblicano foto dei propri figli sui social e ne parlano, lei prende in braccio Andrea Ines, l’ultima piccola arrivata in famiglia e la allatta, perché diretta Instagram o no, la bimba sta mettendo i dentini e ce lo fa sentire. «Mi piace raccontare della mia famiglia, i bambini crescono e si trasformano e io scelgo cosa raccontare e come raccontarlo. L’obiettivo è quello di condividere con le altre donne la quotidianità anche nel disagio e nelle difficolta».
Una sorta di scrittura terapeutica per lei e per gli altri, che autorizza tutto il target «madre» a liberarsi dall’impostazione sociale della mamma Prenatal. Quando spostiamo l’attenzione sul target più ampio «donna», la Tesio storce un po’ il naso sul racconto degli stereotipi e delle frasi fatte sfruttate dai brand che cavalcano il tema femminista. Si dice infastidita da questo storytelling forzato e sicuramente abusato. «Le donne stanno soffrendo in questo momento, vivendo un passaggio epocale drammatico e questo è un fatto, ma io vorrei trovare un dialogo sul ruolo del maschio in questa situazione». È difficile trovare una misura sul tema del femminismo oggi, la donna è un soggetto che troppo spesso diventa oggetto. La mancanza di cultura fa sì che ci si possa distrarre facilmente in questo periodo nel quale siamo molto connessi, ma non sempre in maniera buona. Tocchiamo anche il tema della parità di genere in una coppia uomo donna, che Enrica ci racconta ancora oggi in maniera oggettiva, non esistere. «Dietro a una grande donna c’è un’adolescenza si merda», scrive Enrica nel suo blog. È perfettamente il tono di voce dei B.Liver, forse per questo ci siamo sentiti così a nostro agio a chiacchierare con lei.
Linda Caridi «Prova a non fare niente»
La seconda donna con cui parliamo è Linda Caridi, giovanissima attrice milanese, volontaria di Officine Buone e Associazione Erika, con un laboratorio di teatro dedicato a pazienti che vivono disturbi dell’alimentazione, all’interno dell’ospedale Niguarda di Milano. Le chiediamo quali stereotipi le stanno più stretti e la sua risposta è chiara: «Non sono una dolce bambolina e basta, ma non sempre è facile mettere a fuoco le etichette e smarcarsene, per poter esprimere in armonia tutte le parti di cui siamo fatte».
Linda ci racconta di come la scrittura prima e l’analisi poi, le abbiano dato moltissimi strumenti per fare mappa e capire tutto quello che c’è in gioco. Fare spazio quando ci sentiamo compressi in uno stereotipo. Cercare il confronto, parlare tanto, avere una relazione con se stessi, ma anche scegliere qualcuno che ci faccia da specchio, imparare a sciogliere i nodi, allineare le pedine. Ci parla dei suoi maestri e di come le abbiano insegnato una grammatica per nominare l’emotività e l’esperienza. «Prova a non fare niente», le viene detto durante un training. Risultato: uno stato di pace e serenità, contrapposto alla tipica ansia da prestazione da palcoscenico, e una predisposizione all’ascolto degli altri; un modo per ricalibrarsi nel qui e ora. Un nuovo testo da affrontare per Linda, Il bambolo, che parla di abuso, anoressia e abbandono e che attende solamente che i teatri riaprano. Perché si fa teatro all’interno di un reparto dei disturbi dell’alimentazione?
Portare la scintilla creativa, giocare con il teatro per metterci in relazione con noi stessi e gli altri. Concepirsi in maniera vitale, connettere respiro, voce e sguardo. Il teatro innesca un meccanismo virtuoso per riconnettersi con la realtà, quando determinati stati depressivi ti allontanano da questa percezione. «Linda, tu ti senti bella?», è la domanda che esce dalla voce del telefono durante la diretta. «Credo di portare addosso un fardello: quello di essere un oggetto che nella storia è stato guardato e a cui è chiesto di essere desiderabile e di rispondere a determinati canoni. Il bisogno di piacere ci porta ad essere più proiettate a guardare se piacciamo fuori più che a noi stesse e io misuravo molto più con gli occhi degli altri che con i miei. Col tempo, ho imparato ad aprire i miei occhi dentro i miei occhi e guardarmi, riconoscendo delle cose belle dentro di me». Parliamo di fragilità e vulnerabilità, che Linda Caridi definisce risorse grandissime, ma che vanno dosate capendo quando scoprire la pelle e quando proteggersi. La sensibilità costa e non ha nulla a che vedere con la volontà. Sentire brucia. Conosciamo questo tema, la malattia ti insegna a sentire, ma imparare a proteggersi da tutta questa ipersensibilità non è semplice. Chiudiamo la conversazione parlando della consapevolezza di essere donna e di esserlo insieme ad altre donne, non è scontato.
Capelli, università, La Triennale
L’ultima donna di questa serie di incontri è la professoressa Marinella Levi, o come si descrive lei «un’ingegnere con l’apostrofo». Un segno grafico a rivendicare l’articolo femminile associato a un nome maschile che indica un lavoro ancora oggi pensato e visto come prettamente maschile. Da piccola voleva fare la maestra, la parrucchiera e la rivoluzionaria. Fa tutte queste cose e molte altre. Insegna al Politecnico di Milano dal 1980, è ingegnere chimico e dei materiali, e segue le classi di ingegneria e di design, sintesi delle sue due anime, quella razionale, lucida e concreta e quella più rossa, come i suoi capelli. Ha fondato il +Lab, il primo laboratorio di stampa 3D del Politecnico, che risponde alla terza missione dell’università: portare fuori dalle mura dell’accademia le attività, collocando ambiti della ricerca dentro la società.
Gli ingegneri donne sono ancora troppo poche e la concezione di essere donna, professore ordinario e in posizioni apicali della carriera accademica, è ancora una strada che si percorre in salita. La professoressa ci racconta di come si sia scontrata con discriminazioni di genere durante la sua carriera, purtroppo anche da parte di altre donne. Un altro campo dove ci vorrebbero più donne è la politica, ci dice Marinella Levi, che lancia un appello alle donne: «Fate più politica». Ovviamente parliamo di CICATR/CI, il progetto realizzato insieme, che racconta la fragilità e la trasforma in opera d’arte attraverso la stampa 3D e le chiediamo se secondo lei le donne mostrano la loro fragilità più degli uomini. La risposta è sì, ma che forza l’uomo che si libera dalla mascolinità tossica e si permette di piangere. Le donne sono un grande esempio, ma questo deve essere un gioco di squadra.
Lo spazio sulla carta è poco, ma le interviste sono una più interessante dell’altra, riguardatele tutte sulla IGTV del Bullone.