Il riassunto dei primi undici capitoli
Lapo e Riccardo sono due amici. Riccardo vuole scrivere un libro ma si blocca davanti al foglio bianco. Lapo lo prende in giro mentre camminano per Milano. Riccardo racconta di un incontro al semaforo tra via Santa Sofia e corso Italia con una bella ragazza dagli occhi verdi e i capelli neri. Lapo corre in soccorso dell’amico e con un’app di tracciamento riesce ad individuare la misteriosa ragazza con un borsone nero. Un borsone che usano le ragazze che vanno all’Accademia della Scala. «Trovata, si va» dice Lapo all’amico. La ragazza si chiama Matilde. Matilde viene inseguita dai due ragazzi e corteggiata fino alla stazione. Riccardo, Lapo, Matilde parlano di tutto, anche di Puccini e Pavarotti. Ma a un certo punto a Matilde sembra di scorgere tra la folla sua madre. Di colpo la madre non si vede più. Allora Lapo e Riccardo si trasformano in detective e trovano la mamma di Matilde nell’aula 22 dell’università.
Riccardo e Lapo deglutiscono l’ultimo boccone all’unisono. Hanno gustato l’amatriciana di Matilde in silenzio.
«Ha gli occhi di sua madre» sussurra Lapo pulendosi la bocca.
Riccardo è silenzioso: sposta i piatti verso l’acquaio e scosta la tenda della finestra per guardare verso la strada. La luce tenue di una sera di fine primavera gli permette di tirare il primo vero respiro della giornata.
«Quanta fatica bisogna fare per godersi un tramonto?». Le considerazioni retoriche di Riccardo avevano sempre affascinato Lapo: guardava il suo amico dal tavolo spostare lo sguardo dal cielo alla strada ripetutamente. Dopo minuti di silenzio, il volto di Riccardo muta. «Eccola». Matilde sta attraversando la strada e Riccardo, nonostante la ragazza abbia il cappuccio della felpa che le copre il capo, è sicuro che sia lei. Si dirige verso la porta con veemenza. Lapo si alza e bisbiglia una frase che Riccardo interrompe: “Voglio andare da solo. Voglio parlarle io”. Lapo si sente ad un tratto vuoto, nuovamente, come quando aveva incontrato la madre di Matilde: quella
sensazione prende il suo stomaco e lo stringe. Non riesce a togliersi il mondo che ha intravisto in quegli occhi verdi, quelle debolezze, quelle domande, quei dubbi. La risposta è la solita canna, quel sano THC capace di lenire ogni sofferenza. Sopra il cassetto della scrivania dove tiene la marijuana, c’è il computer di Riccardo acceso su una schermata di word completamente intonsa. La pagina tuttavia ha un titolo: «Dov’è la madre?».
Lapo non sa quando il suo amico possa aver scritto quel titolo ma quegli occhi gli ripiombano nello
stomaco. Apre il cassetto, rovista fra i fogli e prende l’occorrente per rollare lo spinello ma le mani gli tremano. Si ferma, fissa lo schermo e pensa ad un modo per affrontare quell’ossessione. «Tasto, tasto, tasto, parola, parola, frase, pensiero, un silenzio sincero, scorrere di dita sullo stomaco per raschiarsi l’insolito, cercare il vero».
Lapo ha iniziato a scrivere la pagina bianca di Riccardo, conscio di invadere lo spazio intimo dell’amico.
«Gli occhi della madre sono come i miei, ma lei ha attraversato un mare profondo e agitato. Ha abitato stanze dell’essere che io non conosco, che non saprei come arredare. Eppure nel fondo della mia anima trovo un flebile moto verso le necessità di quella scoperta, di quel soffrire, di quel dimenticare, di quel vivere accanto a te».
Accanto a te? Lapo chiude il computer di scatto. Il flusso lo ha rapito a tal punto che non si è accorto nemmeno di ciò che ha scritto. Perché dalle sue dita è uscito accanto a te? Non sa a chi si sta riferendo, eppure la canna non l’ha fumata. Un moto irrefrenabile lo spinge verso la finestra da dove, spostata la tenda, scorge Riccardo che sta parlando con Matilde.
Il cielo oramai si è fatto scuro, è passata l’ora d’oro del tramonto. Matilde non riesce a stare ferma: continua a muoversi su se stessa e farnetica frasi sulla contingenza di aver rivisto ciò che non voleva vedere, di preferire rimanere nell’oblio che far riaffiorare il suo passato che la sconvolge, la distrugge.
Sono ore che sta camminando intorno a casa. Prosegue dicendo che le sue esperienze sono poche, che la felicità è un sentimento vissuto e bastardo, che non ha ricordi sereni se non quelli della nonna Mimì e che non riesce a capire niente di sua madre, che non vuole vederla, non vuole sapere nemmeno come sia fatta. Riccardo è incapace di fermare quel flusso di angoscia fino a che il suo istinto non lo porta a stringere i bicipiti e i tricipiti tesi della ragazza: la guarda negli occhi e, in silenzio, la porta al suo petto.
Matilde riesce a intermezzare lo spazio dei suoi mostri interiori con quello che riesce a dedicare all’odore di Riccardo: non aveva mai annusato il profumo della sua pelle, nemmeno quando si erano dati quel bacio, quel bacio che fu sorpresa e dolore. E anche ora le immagini di dolore si alternavano alle sensazioni meravigliose di un abbraccio sincero, di un odore di giovane uomo che la inebriava. In quel momento capiva: doveva usare l’amore per riuscire a combattere la morte di quei pensieri. Matilde si stacca da Riccardo e lo accarezza sul volto: «Ho voglia di andare a casa». Riccardo, che da principio non comprende la fretta della ragazza, sente di aver posato un nuovo mattone per la costruzione di quel rapporto strano e complesso, fatto di molte parole sconclusionate e di improvvise esternazioni di affetto. Matilde gli stringe la mano e lo spinge verso l’entrata del palazzo: le falangi della ragazza si intrecciano con quelle di Riccardo. Il suo volto è cambiato, pare rasserenato: Matilde vuole seppellire i suoi tormenti, pensa Riccardo. Un brivido freddo lo assale: avrebbe voglia di fermarsi ad accarezzarla sul ciglio della soglia. Il portone del palazzo sbatte dietro la loro schiena senza che Riccardo abbia avuto il coraggio di fare alcunché. Lapo è seduto in salotto e sta tamburellando con l’accendino sulla custodia della marijuana: ha osservato la scena dall’alto. Il suo volto invece è ancora sconvolto. Non sa perché ma non vuole che l’amico rientri e gli racconti di quanto sia innamorato di Matilde, di come sia riuscito a tranquillizzarla. Vuole solo tornare ad essere il solito razionale cazzeggiatore seriale che gli piace essere, ma il tormento non lo abbandona. Quegli occhi sono come un branco di lupi, un branco di lupi che gli mangiano le carni da dentro. La porta si apre lenta e Lapo cessa di percuotere la latta del contenitore. Vuole vedere se Riccardo, che non gli ha permesso di scendere si ricorda di lui, che lo sta ospitando. Tuttavia Riccardo oltrepassa il salotto senza neanche accorgersi della sua presenza.
Ha occhi solo per lei.
«Vuoi un bicchier d’acqua?» Chiede Riccardo a Matilde sulla porta del salotto.
«Devi volermi bene» le risponde lei. Riccardo rimane interdetto, vorrebbe ancora accarezzarla, forse darle un bacio.
«Devi volermi bene» ripete. “Devi volermi bene” ripete una terza volta avvicinandosi. Riccardo rimane in silenzio e dopo un attimo annuisce. Matilde lo fissa negli occhi, gli prende la nuca, e avvicina lentamente le sue labbra alle sue.
«Devi volermi bene» urla Lapo dal salotto. Ha visto la scena, loro non hanno visto lui. Quella frase gli è uscita dalla pancia, tutta d’un fiato.
Matilde e Riccardo si girano verso di lui seduto e disperso. Riccardo è indispettito dall’interruzione, mentre Matilde, staccandosi da lui, si dirige verso Lapo. I tre rimangono in silenzio. La ragazza è di fronte a Lapo, rimane in silenzio e dopo un attimo annuisce. Lo fissa negli occhi, gli prende la nuca, e avvicina lentamente le sue labbra alle sue. Riccardo è impietrito: non riesce a comprendere cosa stia facendo Matilde, cos’abbia appena distrutto Lapo con tre parole. Una lacrima solca il viso di Lapo.
«Cos’hai?» Chiede Matilde. Lapo non risponde.
«Non riesco a guardarti, i tuoi occhi. Sono…»
Riccardo si scuote dal silenzio: «Non dirlo». Fa una pausa. «Non dirlo, ti prego Lapo».
Riccardo sa che citare la madre di Matilde la farebbe ripiombare nell’angoscia. Anche se era scottato dalla sua mossa, anche se stava soffrendo, quel dolore Matilde non lo avrebbe sopportato. Matilde ad un tratto capisce: il “devi volermi bene” di Lapo non era riferito a lei, ma a Riccardo.
«Cos’hanno i miei occhi?» Sussurra Matilde a Lapo.
Lapo che, nonostante tutto, ha capito le intenzioni dell’interruzione dell’amico, cerca di risponderle candidamente: «I tuoi occhi sono come i miei, ma hanno attraversato un mare profondo e agitato».
Riccardo è rimasto immobile: Lapo e Matilde sono commossi mentre si guardano negli occhi. Riccardo non sa se andarsene, è sconvolto. Passano attimi eterni di silenzio. Matilde non si è dimenticata di lui: non sa cosa stia succedendo ma sa che sono tre ragazzi dispersi, tre anime che stanno soffrendo.
Così si alza, prende la mano di Lapo, raggiunge Riccardo e stringe la sua, li conduce in corridoio e mentre cammina bacia le mani dei due ragazzi senza guardarli, li porta nella sua camera da letto e poi si ferma di fronte a loro. I suoi occhi verdi iniziano a scrutare i due amici, uno affianco all’altro. Il tempo si è fermato.
«Dovete volermi bene».
Le sue mani affusolate scoprono le spalle del vestito che indossa che lievemente lascia il suo corpo e sia adagia per terra. Poi le mani si volgono dietro la schiena per slacciare il reggiseno e dirigersi verso i fianchi per scoprirli dalle mutande. Matilde si avvicina ai ragazzi: entrambi sono imbarazzati e stanno
per dire qualcosa. Quelle stesse mani, con un movimento lieve e ondulato, si posano sulle labbra di Lapo e Riccardo. Sono muti ora, Matilde li sta spingendo ad agire, li sta muovendo verso di lei.
Riccardo bacia la mano sinistra della ragazza, Lapo inizia a togliersi la maglietta e d’incanto la bacia sul collo. Poi slaccia i pantaloni dell’amico e li abbassa a terra mentre Matilde lo accarezza sulla testa.
Riccardo a sua volta si toglie la maglietta di scatto. La frenesia prende il posto del silenzio: i tre si abbracciano, si baciano, si spogliano. Nel centro del letto Matilde bacia Lapo, sposta le sue labbra verso Riccardo, le sue mani gli cingono il seno mentre quelle di Lapo si muovono verso la sua vagina. I volti e i corpi si mischiano, si intrecciano, i genitali dei ragazzi diventano dei prolungamenti dei loro sentimenti.
Il disagio è lontano da quei corpi nudi. Matilde muove i due ragazzi, li sposta su stessa, muove le loro mani, i loro occhi, le loro labbra sul suo corpo, sui loro corpi. Li sente, turgidi e liberi. Le mani di Lapo, dopo varie esitazioni, si spostano dal ventre di Matilde al pene di Riccardo. Riccardo tocca la testa dell’amico mentre sta baciando il seno di Matilde. Poi si staccano e si riannodano con quella forza del bene che li muove. Matilde si lascia percorrere dai due ragazzi e dopo la penetrazione ha un orgasmo: piange, ride e ha caldo. Ma ha bisogno di quei corpi su di se, ancora, stretti alla sua esistenza.
È come se le pareti si sgretolassero. Anche Lapo piange e la abbraccia. Sopra di loro Riccardo respira.
L’oscurità è scomparsa e ora quei tre corpi dormono nudi, nella notte del tempo immobile, scevri da quei mostri che li affastellano. Ad un tratto sono liberi, come farfalle sopra i muri della città.
L’alba affiora sul letto. Lapo apre gli occhi lento e scruta in silenzio i corpi nudi di Matilde e Riccardo.
Lo stomaco non è più annodato su se stesso. Abbandona quel nido d’amore con una strana smorfia sul volto. La radio sveglia in salotto trasmette una vecchia canzone di Aretha Franklin. Lapo alza lo schermo del computer, rilegge ciò che ha scritto e poi sceglie: «Tasto, tasto, seleziona tutto, cancella».