Mi viene affidato un pezzo sul ghosting nell’ambito lavoro. Lo spirito della Giornalista Vera si impossessa di me (da neo-tesserati può succedere) e mi impone una seria ricerca. Chiedo a Google articoli o dati che mi aiutino ad affrontare l’argomento. Comincio a leggere… e la mia testa diventa un gigantesco punto interrogativo. Un buon settanta per cento degli articoli parla di ghosting dei candidati. Persone che affrontano tutti gli step di selezione, ricevono una proposta e… puff! Spariscono nel nulla. Oppure, lavoratori occasionali che, da un giorno all’altro, si dileguano senza dare più notizie all’azienda.
Pessimo, orribile, deprecabile. Siamo d’accordo.
Ma perché non trovo chi parli seriamente di quello che è successo a me? Anzi, una fila interminabile di articoli stila liste dei dieci motivi per cui, se un’azienda a cui invii la candidatura non ti risponde, è perché TU hai sbagliato qualcosa: non hai letto bene il profilo ricercato, ha inviato lo stesso CV a tutti, lo hai scritto male…
Qualcosa non mi torna.
Possibile che in dieci anni (forse di più, ma calcolo da quando mi sono laureata in poi), l’errore sia stato mio nell’ottanta per cento dei casi? Perché è questa, circa, la percentuale di risposte mai arrivate da aziende e privati che hanno ricevuto una mia candidatura a una loro richiesta di personale. No, non esiti negativi. Nessuna risposta. Il nulla.
La ricerca continua, e, finalmente, un paio di lumicini nel buio: «Metti da parte per un momento le tue responsabilità e concentrati sul comportamento che stai subendo. Te lo presento: si chiama ghosting. (…) Il ghosting non riguarda l’assenza di riscontro dovuto alla difficoltà di rispondere a centinaia di mail o telefonate di candidati, ma è un comportamento voluto che porta a evitare di fornire spiegazioni e a non assumersi la responsabilità di un no. (…) è una pratica scorretta in ogni caso e sarebbe corretto lavorare affinché se ne perda l’abitudine», (Marina Perotta su Linkedin).
«Non è più ammissibile in tempi di digitalizzazione spinta, che un recruiter non abbia settato nel proprio sistema di mailing almeno 3 risposte automatiche: una per informare che l’offerta non è più attuale, una per informare che il profilo è interessante e verrà richiamato quanto prima, una per informare che il profilo non è di interesse. Con qualsiasi sistema di posta elettronica questa attività è di una facilità elementare. (…), testimonia l’effettiva lettura del curriculum e dà al candidato una risposta efficace e rispettosa». (Osvaldo Danzi su Wired.it).
Perotta e Danzi pesano sulla bilancia le responsabilità di entrambe le parti, concordando quanto per il candidato le conseguenze del ghosting siano potenzialmente più gravi, dal momento che è il recruiter ad avere il coltello dalla parte del manico.
Come candidata, il più delle volte mi sono sentita «un fantasma inesistente, impalpabile e gettato in un Purgatorio di incertezze. (…) pensi e ripensi alle frasi dette o scritte e mille dubbi ti assalgono, con l’immancabile immenso senso di colpa: forse ho detto qualcosa che non andava, forse potevo fare meglio…». E ogni risposta non ricevuta, ha diminuito di un po’ la voglia di continuare a provarci. È quello che vorrei sapessero tutti. Un no mi dà la possibilità di mettermi in discussione, un niente mi inghiotte e basta, mi svuota, mi spegne. Mi convince di essere sbagliata e inutile. E consuma la mia dignità, costruita negli anni di studio e di lavoro. La soluzione definitiva al ghosting non è sicuramente il silenzio o l’indifferenza. È importante rimarcarlo, ogni volta che lo si incontra. Sempre. Tutti.