Quando ero più piccola, evitavo di guardare film horror e in cui c’erano fantasmi perché ne avevo paura. Avevo il terrore di sapere (ma non ne avevo certezza) cosa si nascondesse sotto a quel lenzuolo bianco che ondeggiava da solo; cosa ci fosse dietro o potesse muovere degli oggetti senza farsi vedere; chi avesse il potere di attraversare porte e portoni, senza provare dolore.
Crescendo, ho iniziato ad apprezzare e a rimanere positivamente colpita dai maghi che, con i loro mantelli invisibili, riuscivano a fare cose sbalorditive o a sparire e, magari, riapparire altrove e a distanza di tempo.
Poi ho guardato il film Ghost e me ne sono innamorata, tanto della trama quanto degli attori, soprattutto di quel gran figo di Patrick Swayze. Ho capito che si poteva essere fantasmi in altri modi e in forme diverse, quasi più piacevoli che spaventose.
Sparire nel nulla
Ho appreso che un fantasma può aiutare a capire e a sentire quello che davvero si prova e a crescere; diventare consapevoli che una sparizione è una mancanza a tutti gli effetti, da entrambi i lati: da chi «la fa» attivamente e da chi «la subisce» passivamente.
In quelle non dettate da cause tragiche, infatti, il negarsi e sparire nel nulla, si traduce: in scarsa capacità di comunicare, di prendersi responsabilità; in immaturità emotiva, generata spesso, da altre mancanze e da comportamenti causati, da traumi o esperienze passate, già vissute e irrisolte.
Dal lato di chi «subisce», invece, forse siamo tutti più allenati alle conseguenze emotive e non, che «il venir meno» può causarci.
Ma veniamo a oggi. Queste stesse figure «magiche» le ritroviamo, in realtà, nella vita di tutti i giorni e in ambiti diversi, anche se per la maggior parte se ne fa conoscenza in quelli relazionali, affettivi e di coppia.
A chi non è capitato oggi di fare o subire ghosting?
Ne sento parlare costantemente da conoscenti e amici. Ma senza andare troppo in là, io stessa ho avuto a che fare con dei fantasmi, pur senza vivere in un castello o in un film. E pensare che da bambina sognavo un partner come il principe azzurro…
Ancora più frequentemente, ho avuto a che fare con lo zombie, colui cioè che resuscita tutto d’un tratto, dopo aver chiuso una frequentazione senza dare spiegazioni e, di conseguenza, rispettare i miei sentimenti.
È facile assumere etichette
Più che interrogarmi o fare grandi analisi psicologiche, la mia testa è bombardata dalle modalità e dalle trasformazioni del comportamento e di vivere le relazioni, che vanno diffondendosi sempre più nella società.
Troppo spesso, infatti, oggi si ha paura di dire le cose come stanno per non ferire l’altro (a volte usata come scusa), o per «semplice» vigliaccheria.
Ora, e vi prego di prendere con le pinze ogni mia parola, è facile fraintendere e dare/assumersi etichette. Così, se corteggi troppo diventi uno stalker, se non ci provi perché «è brutta/o» è bodyshaming, se fai un apprezzamento è catcalling, se dai troppe spiegazioni è mainsplaining…
Quanto tempo ho perso a cercare inutilmente motivazioni che giustificassero ciò che mi accadeva, quante volte mi sono messa in discussione e data la colpa, quante cose ho permesso di (non) dirmi o (non) farmi fare, solo per paura o per non ferire e ferirmi. Quanta immaginazione e fantasia ho attivato per dar seguito a ciò che non aveva neppure un principio, quante situazioni ho creato per disfare la realtà, quanti «se» e quanti «ma», quando l’unica spiegazione e vera verità «è che non gli piaci abbastanza».
Forse, semplicemente, io non ci voglio credere, quindi, continuerò ad essere attratta dal principe azzurro più che dal fantasma.