Rompere gli schemi della consapevolezza ambientale.

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Illustrazione di Davide Lazzarini
Illustrazione di Davide Lazzarini

Di Eleonora Prinelli

L’attività umana è fortemente correlata al destino del nostro pianeta, ormai è chiaro. L’antropocene è così, una farfalla sbatte le ali a Novosibirsk e cambia qualcosa anche qui, dall’altra parte del mondo. Il Covid stesso è stato, molto probabilmente, il risultato di azioni politiche che tardano ad arrivare in ambito ambientale. Il disboscamento massivo e lo sfruttamento estremo della Terra spinge la popolazione umana a entrare in contatto con specie animali che prima erano relegate ad angoli remoti del pianeta. Il problema è che noi siamo arrivati davvero ovunque. In un mondo dove ormai anche le vette delle montagne più alte sono state antropizzate, servono azioni radicali per frenare questo «progresso» sfrenato e pericoloso.

Lotta al cambiamento climatico

Tra coloro che hanno rotto gli schemi nella lotta al cambiamento climatico in epoca recente, vi è per certo Greta Thunberg: con la nascita del movimento giovanile Fridays For Future ha dato una svolta all’attivismo climatico rendendolo un trend virale, dopo vari anni di lotta pressoché dormiente. Prima di lei, tornando agli anni 70, Greenpeace fece qualcosa di simile (benché con mezzi diversi), quando per la prima volta un gruppo scapestrato di volontari partì su un vecchio peschereccio per fermare i test nucleari nel Mare Artico. Quella prima incredibile esperienza gettò le basi per la nascita di un movimento ecologico rivoluzionario, che da Vancouver si diffuse presto in tutto il globo.
Ma i movimenti, si sa, bisogna continuare ad alimentarli perché restino sotto i riflettori dell’opinione pubblica. Fortunatamente oggi il tema climatico è entrato a 360 gradi nella nostra vita: se ne parla spesso e in molteplici ambiti. Gli aspetti più disparati che concorrono all’avanzata del surriscaldamento globale sono documentati e riportati in migliaia di contenuti web, documentari e serie tv sulle piattaforme streaming. Si è arrivati a trattare argomenti di cui quasi nessuno sospettava solo pochi anni fa, come l’impatto degli allevamenti intensivi sulle emissioni di CO2, o quello sulla biodiversità da parte della pesca eccessiva e, in particolare, dal metodo a strascico.

Il «consumatore verde»

Questo ha fatto sì che le persone iniziassero a cambiare le proprie scelte di consumo, al fine di ridurre, per quanto possibile, gli sprechi e il proprio impatto ambientale. Con il tempo, complice la pressione delle grandi corporations che fanno leva sul «senso di colpa» del singolo individuo, si è andati di fatto ad alimentare il mito del «consumatore verde» (il giornalista olandese Jaap Tielbeke ne ha tracciato il profilo in un articolo di Internazionale, n. 1372).
Tuttavia, ricordiamoci che la crisi climatica non può essere risolta solo con le azioni dei singoli: serve una direzione chiara e tempestiva da parte della politica, in primis.

Abbiamo bisogno di una nuova svolta, che porti al tramonto dell’era dei combustibili fossili e all’investimento di miliardi di dollari da parte dei Paesi più ricchi per aiutare i più poveri a fare uso di energia pulita. E ancora, ciò che davvero potrebbe rompere gli schemi nel prossimo futuro, sarebbe un’auspicabile, benché sorprendente, collaborazione tra le due eterne rivali: USA e Cina. Gli impegni a parole non bastano più, servono azioni concrete e alleanze internazionali per guidare la lotta al cambiamento climatico. Chi potrebbe avrebbe gli strumenti per farlo, se non le due superpotenze mondiali? Il punto è se vorranno mettere da parte la propria guerra geopolitica e pensare davvero al futuro del nostro pianeta.

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